di Elisa Benzoni
Il suffragio è universale e dunque il diritto di voto deve essere garantito a tutti. Lo dice la Costituzione. Ma sono diverse le categorie a cui quel diritto è negato; tra queste le persone che, non avendo residenza, saranno escluse dal voto domenica prossima. Prenderemo in considerazione in questo articolo solo loro. Lasciando altre questioni fuori: chi vive nelle Rsa, gli studenti fuori sede, i rom e i sinti… solo per citare categorie numericamente rilevanti.
La norma di riferimento è quella del 1954, che stabilisce che la residenza, ovvero l’iscrizione all’anagrafe nel comune in cui si vive, è un diritto per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri regolarmente soggiornanti.
Per motivi di ordine pubblico l’anagrafe è sotto la competenza del ministero dell’Interno, mentre viene delegato ai comuni la gestione dell’anagrafe territoriale. La ratio principale di quella legge è che lo stato deve sapere dove risiede un cittadino e dove può trovarlo. Due requisiti perché sussista il diritto alla residenza, uno oggettivo, dove la persona vive nei fatti, e uno soggettivo, dove la persona vuole vivere; ma ovviamente non è tutto così scontato perché i Comuni osteggiano il riconoscimento della residenza e perché la legge non facilita l’ottenimento della certificazione. E se ci sono persone che rimangono fuori è proprio perché non è identificato dove vivono o è difficile giuridicamente da identificare.
Stiamo parlando dei senzatetto, degli ospiti di assegnatari di case popolari, degli ospiti in case di terzi e degli abitanti di case occupate.
Si tratta di persone che non hanno una dimora certificata o perché il domicilio cambia continuamente, o perché l’insieme di norme non favorisce il riconoscimento, o perché la legge glielo impedisce.
Partiamo dai senza dimora. Delle persone che vivono per anni nelle nostre strade e nelle nostre stazioni.
Sarebbero 50 mila secondo un’indagine del 2014 dell’Istat, del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Federazione italiana degli organismi per le persone senza fissa dimora (Fio.PSD) e della Caritas italiana. Ma è un numero che deve essere considerato per difetto. Perché è una ricerca datata e la situazione del paese è drammaticamente peggiorata in termini di povertà; e perché il numero faceva espressamente riferimento ai senza fissa dimora che usufruivano di servizi di accoglienza.
Ma dobbiamo ovviamente considerare solo quelli in possesso di cittadinanza, il 42 per cento (il 58 per cento sono stranieri). Per loro però una possibile soluzione si è trovata. Una circolare Istat impone infatti ai comuni di dotarsi di un indirizzo fittizio convenzionale. In questo modo è possibile accedere ai servizi sociali e sanitari e avere la tessera elettorale e l’iscrizione nei registri. Mi sembra comunque difficile che queste persone dimenticate e condannate all’invisibilità, conoscano l’esistenza di questa possibilità e decidano, quindi, di esercitare il loro diritto di voto.
“Delle persone senza dimora che vivono in strada quasi nessuno va a votare – ci spiega Alessandro Radicchi fondatore di Binario95, associazione che aiuta i senza fissa dimora nella capitale –; a votare saranno solo alcuni di quelli accompagnati e supportati dell’associazionismo. In questi anni al generale disinteresse si è aggiunta la fatica (almeno a Roma): per mantenere un diritto e per rimanere residente all’indirizzo fittizio bisogna dimostrare di aver usufruito di servizi di assistenza o del comune. È facile comprendere quanto esiguo sia il numero delle persone senza dimora che voteranno”.
Rimangono invece completamente fuori dai registri gli ospiti di terzi, parenti e non. In questo caso la residenza aprirebbe a diritti sui beni presenti nello stabile o comunque sugli oggetti in esso contenuti. Ed è per questo che è difficile che, anche in questo caso, chi ospita conceda anche la certificazione di questa presenza.
E questo succede anche se si è ospiti di persone assegnatarie di edilizia popolare: qualora una persona si trovi ospite di una casa di edilizia popolare non può dichiararsi lì residente. Gli unici residenti consentiti sarebbero gli assegnatari. Ma anche in questo caso basterebbe stabilire che la certificazione non dà diritti proprietari o assegnatari ma si limita a fare una fotografia dello status. Sia in un caso che nell’altro basterebbe una norma che da un lato assicuri i diritti proprietari e anche quelli esclusivi degli assegnatari.
Ma non è esiguo neanche il numero delle persone senza certificazione perché risiedono in stabili occupati. Sarebbero 48 mila gli immobili occupati nel 2018, secondo Federcasa. Ma anche in questo caso dare i numeri è cosa complessa e arrivare ai reali numeri degli abitanti è cosa praticamente impossibile, anche se si può supporre che ogni immobile sia abitato da più di una persona. Gli occupanti non sono nella condizione di ottenere la residenza presso queste strutture. L’articolo 5 del decreto Lupi impedisce, infatti, che chi occupa abusivamente possa richiedere e ottenere la residenza presso quello stabile.
“La residenza però di per sé non legittima alcuna occupazione (questo il timore del legislatore) perché non dà alcun diritto sull’immobile, tanto è vero che coloro che sono sfrattati sono residenti presso l’immobile che sono costretti a lasciare. Nonostante ciò i Comuni la negano, pur sapendo che se si va in causa per certificare la dimora in uno stabile occupato, si vince. Ma è chiaro che si deve andare in causa e, come è ovvio, in pochi lo fanno”. A spiegarlo è Antonio Mumolo, presidente di “Avvocato di strada Odv”, associazione presente in tutte le regioni italiane con oltre mille avvocati a supporto.
Ma proviamo a dare questi numeri almeno a spanne, almeno per renderci conto di cosa stiamo parlando. Se consideriamo che gran parte dei senza tetto non è conteggiata dall’Istat perché non hanno chiesto aiuto ai servizi sociali, e consideriamo che nelle case e negli stabili occupati è difficile fare la fotografia dei reali occupanti, arriviamo a ipotizzare numeri altissimi. Per difetto, 200 mila persone.
Non si tratta di questioni insuperabili e proprio per questo l’indifferenza sul tema diventa preoccupante trasformando l’invisibilità di fatto in cancellazione amministrativa e pubblica.
Stiamo parlando di persone, per vari motivi, indigenti. E che sia l’indigenza a pregiudicare un diritto è cosa degna di un paese incivile.
Elisa Benzoni