In Italia conosciamo bene l’impatto devastante che la crisi di un’industria può avere su un territorio: Taranto con l’ex Ilva o Termini Imerese con la Fiat sono esempi emblematici. Ma in Germania esiste un caso altrettanto significativo, anche se meno noto: quello di Baunatal, una cittadina interamente costruita intorno alla Volkswagen, oggi in bilico a causa della profonda crisi che attraversa il colosso automobilistico.
Baunatal, situata nel nord dell’Assia, è una città che esiste solo grazie a Volkswagen. La casa automobilistica ha avviato le sue attività qui nel 1958, e oggi lo stabilimento dà lavoro a 16.000 persone su una popolazione di 28.000 abitanti. Ma VW non è solo un datore di lavoro: è il motore di quasi tutte le attività sociali, culturali e sportive della città. La comunità vive in una simbiosi unica con l’azienda, un modello che per decenni ha garantito prosperità e stabilità. Ma ora, con la crisi di Volkswagen, anche Baunatal si trova a un bivio.
Volkswagen, una delle più grandi case automobilistiche del mondo, sta affrontando uno dei momenti più difficili della sua storia. Il calo delle vendite di auto elettriche, la crescente concorrenza cinese e i costi elevati dell’energia in Germania stanno erodendo i margini di profitto. Solo nel terzo trimestre del 2024, l’utile operativo è crollato del 63,7%, e le vendite sono diminuite dell’8,3%. La risposta del management è stata drastica: revocata la garanzia occupazionale trentennale per i lavoratori tedeschi, previsti tagli a migliaia di posti di lavoro e la chiusura di tre stabilimenti nel paese.
A Baunatal, questi annunci sono stati accolti con rabbia e paura. Lo stabilimento locale, specializzato nella produzione di componenti per altri impianti del gruppo, è particolarmente vulnerabile. La crisi ha distrutto il rapporto di fiducia che per decenni ha legato i dipendenti al management. Famiglie che lavorano da generazioni per VW si sentono tradite, e la comunità teme che la perdita dello stabilimento possa portare al collasso economico della regione.
Secondo uno studio dell’Università di Kassel, oltre 70.000 posti di lavoro nell’area dipendono direttamente o indirettamente dalla presenza di Volkswagen. A Baunatal, i lavoratori si stanno mobilitando: i rappresentanti sindacali di IG Metall hanno annunciato una protesta a Wolfsburg, sede centrale di VW, per il prossimo ciclo di trattative. L’obiettivo è salvare non solo i posti di lavoro, ma anche il modello di vita che la città ha costruito intorno all’azienda.
Questa crisi non riguarda solo Baunatal. È un simbolo delle difficoltà che molte economie europee stanno affrontando nel gestire la transizione verso l’elettrico. Sebbene necessaria per il futuro dell’automotive, questa trasformazione richiede meno manodopera rispetto alla produzione di motori a combustione interna, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. In Germania, i costi energetici e l’abbandono del nucleare stanno aggravando ulteriormente la situazione, rendendo meno competitiva la produzione industriale rispetto ad altri paesi.
Il caso di Baunatal solleva interrogativi profondi sul futuro del modello industriale europeo. In un contesto globale sempre più competitivo, dove nuovi attori come la Cina stanno conquistando quote di mercato, città come Baunatal rischiano di diventare le vittime invisibili di una trasformazione troppo rapida e non adeguatamente pianificata.
Per l’Italia, il caso di Baunatal offre una lezione importante. Anche noi siamo legati a un modello economico basato su grandi poli industriali, spesso dipendenti da aziende multinazionali. Il destino di Baunatal è un avvertimento: la crisi di un colosso come Volkswagen non è solo un problema tedesco, ma un campanello d’allarme per tutta l’Europa. Senza politiche che bilancino innovazione e tutela sociale, rischiamo di vedere intere comunità cancellate dal tessuto economico.
A Baunatal, il futuro è incerto. Ma una cosa è chiara: se Volkswagen crolla, con lei potrebbe scomparire un’intera città. E questo non sarebbe solo un fallimento industriale, ma una sconfitta per tutta l’Europa.