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Donne in fuga dalle violenze. Il lavoro interculturale di Trama di Terre a Imola

Al centro di Imola, all’incrocio tra via Aldrovandi e via Valsalva, fa capolino da un lato della strada un albero di cartone rosa. Al di sopra spicca un’insegna: Trama di Terre. Centro interculturale delle donne. Due passi più in là, sulla sinistra, una porta a vetri ci permette di sbirciare dentro una grande sala, decorata da cartelloni e tinte vivaci. Andando più avanti, un breve corridoio ad arco lascia intravedere un vecchio pozzo, ora ricoperto di fiori, nel mezzo di un piccolo cortile interno. Qui si affacciano tre porticine in legno, colorate, ma consunte quel che basta per percepire i segni del tempo. Si tratta della scuola di italiano, della cucina e degli uffici del centro antiviolenza.

Monica sorride mentre si siede a cavalcioni sulla panca di legno. Si stringe nella felpa per il freddo. I suoi occhi si muovono rapidi, ma si fermano su ogni dettaglio, con l’energia di chi sa abbracciare la vita con curiosità. «Dicono che io sono quella anormale. Quella “combinaguai”, la figlia ribelle. Anche se io dico che è una conseguenza, no? Pensavo a come andare via da casa. Andai dai carabinieri, e loro mi dissero “guardi signora, noi non possiamo fare nulla”, ma io dico, funziona così finché una persona non si trova sul letto dell’ospedale?».

Trama di Terre è un’associazione attiva dal 1997, nata dall’ incontro, si legge sul sito, tra donne native e migranti per contrastare ogni tipo di discriminazione razzista o sessista. Fornisce sostegno alle donne che si trovano in difficoltà a causa di violenze o emarginazione sociale, grazie al centro interculturale, che è il cuore dell’associazione. Con il loro lavoro, e grazie al centro antiviolenza, vengono aiutate donne vittime di abusi o richiedenti asilo a raggiungere l’indipendenza economica. Anche grazie a laboratori e progetti di formazione, come il progetto “Lei”, che comprende corsi per l’apprendimento della lingua e per l’avviamento al lavoro, oltre a corsi di competenze digitali e competenze relazionali per il mondo del lavoro.

Monica, o meglio Monik, il nome d’arte con cui preferisce farsi chiamare quando dipinge, è di Casalmaggiore, in provincia di Cremona. Ha quarantuno anni e ora vive a Imola con suo figlio di quindici. Il servizio sociale del territorio l’ha messa in contatto con Trama di terre sei anni fa, in seguito a un ricovero ospedaliero causato dalla violenza domestica. Solo dopo che si è trasferita in una delle case di accoglienza dell’associazione ha iniziato a metabolizzare quegli eventi. «Lì dentro mi sentivo sola, non potevo usare nemmeno il telefono, più i giorni passavano più diventava dentro di me l’inferno. Cado in una depressione. Lì ho iniziato con l’alcool, con la cocaina. Ma il bello di questi posti è trovare nelle persone le braccia che ti sono mancate». Dopo essere riuscita ad affrontare i suoi problemi ha trovato due mamme nella comunità. «Quello che più mi ha colpito è il fatto che l’operatrice che mi stava accanto era un’estranea, ma dopo poco mi ha invitato ad andare a casa sua. Ho visto la parte umana di una persona, che non giudica. Se un’operatrice comunica con te solo a lavoro hai l’impressione di diventare tu stesso il lavoro».

Oggi Monik si sta impegnando per realizzare i suoi obiettivi, tra tutti quello di diventare una professionista del massaggio estetico. Ama dipingere e ha sviluppato una discreta tecnica grazie a un laboratorio di arte terapeutica organizzato da Trama. Sogna di costruire un villaggio dell’accoglienza per persone di tutte le età. Di restituire quello che ha ricevuto e di aiutare gli altri.

Molte donne che fuggono da contesti violenti sono accomunate da un forte senso di isolamento, perché sono state costrette a recidere le proprie radici, e si ritrovano senza un luogo a cui appartenere. Ne deriva un vuoto difficile da colmare. In alcuni casi sono viste come “nemiche” dalla famiglia o dal contesto di origine. Come nel caso di chi fugge dai matrimoni forzati. Lo racconta bene Martina Castigliani, autrice del libro Libere: il nostro no ai matrimoni forzati (Editore: Paper First),che racchiude le storie di cinque ragazze aiutate da Trama.

«Si parla di migrazione dagli anni ’90. Sono passati trent’anni e oggi è peggio di prima. Posso dire che prima si viveva bene, si trovava lavoro, oggi no». Khadija Ait Oubih è presidente di Trama di terre dal 26 gennaio 2022. Ha iniziato come mediatrice culturale nel 2002, grazie a un corso di formazione organizzato dall’associazione. Viene da Casablanca e sono più di trent’anni che vive in Italia. «Dico di essere una straniera imolese» afferma mentre sorride. Ha una voce molto calda e avvolgente. «Quando dico che sono cittadina italiana fa ancora impressione, perché porto il velo».

Khadija è rimasta anche per ispirare le altre a non avere paura di mostrare la propria diversità. Oggi nel centro interculturale dell’associazione c’è un via vai continuo. Molte donne sono qui per i corsi di lingua, o per i corsi tematici sulla salute, sul corpo o sui diritti. Altre per chiedere consulti psicologici o assistenza burocratica, chi per la patente o il divorzio, chi per altre pratiche legali. Mentre Khadija ci accoglie nel suo ufficio ci spiega che «ci sono più aree. C’è il centro interculturale che è il cuore dell’associazione. Visti i bisogni del territorio abbiamo iniziato con l’accoglienza abitativa. Quando ha chiuso il centro antiviolenza che c’era prima abbiamo aperto il nostro. Dopodiché è nata l’area rifugiate e abbiamo iniziato a gestire case di emergenza e case rifugio». Nelle case di emergenza viene offerto un posto sicuro alle donne che sono da poco riuscite a fuggire da contesti violenti. Alle donne che hanno bisogno di costruire un’autonomia economica viene poi offerta la possibilità di spostarsi nelle case rifugio, partecipando a progetti di formazione e a percorsi per l’inserimento nel mondo del lavoro. «Siamo rimaste in buoni rapporti con molte donne, che a volte collaborano alle attività».

Sofia (Nome di fantasia) viene dalla Macedonia ed è qui perché ha bisogno di aiuto legale per ottenere il sussidio di disoccupazione. Mentre ci offre un caffè, ci racconta che l ’assistente sociale a cui si era rivolta non le dava risposte. Eccola qui, dunque. È una donna sbrigativa, ha lo sguardo penetrante, dal piglio deciso. Spesso aiuta a gestire la cucina dell’associazione. Per anni è stata una lavoratrice agricola e, grazie all’associazione, è riuscita a chiedere un risarcimento dopo una serie di abusi, in alcuni casi anche fisici, da parte dei suoi datori di lavoro, che controllavano anche il luogo dove viveva. Anche lei ha seguito i corsi di lingua ed è riuscita a trovare una nuova casa. Ora vuole mettere da parte tutti i suoi risparmi per le due figlie.

«Ho scelto questo lavoro in quanto donna migrante, che aveva fatto un suo percorso e che ha subito molte sofferenze nel suo percorso migratorio. Per evitare ad altre di fare gli errori che ho fatto nei primi dieci anni di migrazione». Khadija è la persona che ha più anni di esperienza dentro Trama di terre. «Quando facevo mediazione qui a Imola sono andata a scontrarmi con il pensiero maschile. Parlo della fetta del Maghreb. Non era accettabile che una donna facesse mediazione. Ci sono state aggressioni, dal danneggiarmi la macchina ad altre intimidazioni». Per alcuni l’associazione rovinava donne e famiglie, favorendo le richieste di separazione. «Abbiamo imposto una nuova modalità di lavoro chiedendo agli uomini di venire ai colloqui con le mogli, spesso casalinghe, e siamo riuscite a farle uscire da casa». Per lei è fondamentale permettere alle donne di conoscere i loro diritti.

Gli uomini della comunità marocchina di Imola volevano che si tirasse indietro. Per molti di loro non è lecito che una donna ne difenda un’altra, sono questioni che vanno affrontate in casa. Una donna non andrebbe accompagnata ai servizi sociali o al tribunale. «Cosa che ho fatto e che mi rende fiera di me stessa. Non è da poco per chi viene da un contesto dove regna il maschilismo. Tutto si affronta aiutando le donne a capire e a conoscere la realtà esterna».

Khadija è riuscita ad affermarsi grazie alle relazioni nate nell’ associazione, e al sostegno ricevuto dalle altre donne, che l’hanno spinta a resistere di fronte ai problemi. «Non è poco, dopo tanti anni di lavoro, riuscire a coronare un sogno. Non è chiaro perché alle donne straniere vengono assegnati posti che riguardano le pulizie o la cura degli anziani. I lavori che non si vogliono fare. Ma nella vita mai dire mai. Con il sostegno delle persone giuste si possano realizzare i propri desideri».

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