Avesse vinto soltanto Donald Trump sarebbe già grave per la democrazia. Un truffatore e un ladro con tanto di sentenze giudiziarie a confermarlo, un bugiardo conclamato, uno squallido maschilista che paga le donne per farle tacere sulle sue “scappatelle”, un razzista, uno violento persino verso i suoi collaboratori, un superficiale che pensa di risolvere le guerre in Ucraina e Medio Oriente con la sua “simpatica verve”. Questo concentrato di ignoranza, arroganza, violenza e machismo è diventato il “nuovo” presidente degli Stati Uniti d’America.
Basta con le analisi raffinate, con la pancia dell’America che si ribella al potere federale, alle tasse, a Wall Street, alla supponenza dei democratici, all’elite. La vittoria di Trump è la vittoria, ed è il rilievo più grave in questa notte tragica per la democrazia, di chi pensa che la cultura e la ricerca scientifica siano un complotto contro i contadini del Wisconsin, di chi vieta i libri di Darwin a scuola e li sostituisce con la bibbia, di chi vieta alle donne il diritto di decidere cosa fare del proprio corpo, di chi pensa che l’omosessualità sia una malattia.
Adesso dovremmo seguire il copione classico dell’ipocrisia dei benpensanti e riconoscere l’esercizio della democrazia da parte dell’elettorato Usa. Dire che il voto si rispetta, che “il popolo” ha scelto e questa decisione va rispettata. Certo, in parte è così, perchè a differenza di Trump siamo convinti che la democrazia sia un fine e non soltanto un mezzo per eliminare la democrazia stessa. Peccato però che non sia andata così, secondo le regole democratiche delle pari opportunità, perchè a far vincere Trump non è stato il popolo ma il peggio dell’elite dei miliardari reazionari.
Proprio per questo possiamo affermare che gli elettori statunitensi si siano lasciati truffare consapevolmente, non abbiano voluto vedere che dietro Trump non ci sono i contadini del Wisconsin, il “popolo”, ma i “poteri forti” in prima persona, le elite dell’economia tecnologica infastiditi dalla richiesta di pagare le tasse come tutti i cittadini, in guerra contro la “pretesa” di porre un argine alla loro creazione di un multistato sovranazionale privo di controlli e freni, dove le regole della democrazia, a cominciare da quella di decidere chi può dire e cosa dire sui loro social, di chi può avere accesso alle comunicazioni digitali, sono solo loro a farle, ma non gli piace essere soggetti alle regole dei cittadini semplici e, appunto, della democrazia.
Elon Musk ha donato a Trump 74.950.000 dollari tramite l’America Pac, un Super Pac che sostiene Donald Trump e di cui Elon Musk è il principale rappresentante. Timothy Mellon, sconosciuto al grande pubblico, uno degli uomini più ricchi degli Usa ha donato 125 milioni di dollari a Trump. La Adelson Clinic for Drug Abuse Treatment & Research ha donato 100 milioni di dollari a Trump, una società dietro cui si cela Miriam Adelson, storica sostenitrice di Trump. Diane Hendricks, cofondatrice dell’azienda di coperture ABC Supplies, ha donato 6,3 milioni di dollari a Donald Trump. Isaac “Ike” Perlmutter, ex presidente della Marvel Entertainment, ha dato 10 milioni di dollari a Trump. Woody Johnson, la famiglia della casa farmaceutica Johnson and Johnson e comproprietario dei New York Jets ha donato un milione di dollari a Trump. E poi ancora, in ordine sparso, hanno effettuato enormi donazioni a Donald Trump: Stephen Schwarzman di Blackstone, Robert Mercer di Renaissance Technologies, gli imprenditori di criptovalute Cameron e Tyler Winklevoss e i venture capitalist Marc Andreessen e Ben Horowitz.
Eccoli qua, altro che “contadini del Wisconsin” e pancia selvaggia dell’America che si ribella ai poteri forti, altro che zappa e trattore, questi sono la cima della piramide sociale Usa con razzi che vanno sulla luna e sofisticati software con cui indirizzare consumi e voti.
Dall’altra parte bisogna dire con schiettezza che i democratici Usa hanno dimostrato di non conoscere il loro paese. Di confondere New York e la sua multiculturalità con l’intera nazione federata. Si sono circondati di personaggi effimeri, di cantanti e ballerini, con tutto il rispetto per entrambe le incolpevoli categorie, lasciando fuori completamente il 20% di cittadini Usa che sono al di sotto della soglia di povertà e senza convincere gli altri.
Hanno lottato i democratici per difendere la spesa pubblica a sostegno dei programmi per la povertà varati all’indomani della pandemia da Covid? No, non solo non hanno lottato per i più deboli, ma come ha spiegato su Internazionale Matthew Desmond, esperto di povertà Usa, hanno lasciato scomparire tutti i programmi che avevano attenuato, cifre alla mano, la povertà Usa, per paura di essere accusati di sperperare i soldi pubblici. E per chi li deve spendere i soldi pubblici un governo se non per il “pubblico”, per i cittadini?
Tuttavia la vittoria di Trump e del peggio dei repubblicani e dei miliardari Usa è troppo grande nei numeri per concentrarci sulla giubilazione dei democratici, a cui provvederemo con calma nei prossimi giorni, per le analogie che presenta la loro debacle con i programmi politici dei dem italiani ed europei.
Perchè a differenziare queste elezioni dalle altre c’è un elemento antropologico prima ancora che politico. C’è una parte dell’umanità, concentrata nel mondo cosiddetto occidentale, quello ricco, dove si vive con più dei due dollari al giorno che demarcano la soglia di povertà nei paesi in via di sviluppo, c’è una parte dell’umanità che vuole la morte dell’altra. Che vuole la morte dei diritti civili acquisiti nel ventesimo secolo, che vuole sopraffare la diversità economica, culturale, multirazziale e sessuale sostituendola con uno stato etico che regoli la vita degli individui.
Nei prossimi giorni Trump potrebbe bombardare San Marino, o la Scozia, o il Wisconsin stesso dove ha trionfato, così per uno scatto d’ira, dichiarare fuorilegge la città di New York, oppure stipulare un trattato d’amicizia che elimini i dazi commerciali con la Cina perchè gli piacciono gli involtini primavera, o cancellare il debito del Burundi perchè gli piace una canzone di quella terra, o far aprire il fuoco contro gli immigrati al confine sud degli Usa, o ruttare soddisfatto dinanzi a un capo di stato straniero. Adesso può fare quasiasi cosa e di qualsiasi cosa questo essere spregevole è infatti capace.
Il problema è cosa faremo noi. Noi chi? Quel popolo, quello vero, che difende i diritti degli ultimi e di tutti e considera la laicità il fondamento del funzionamento dello Stato. Un noi che va dalle istanze più radicali degli esclusi dalla ricchezza delle nazioni alla moderazione di quei liberali che si riconoscono in una società multiculturale e le cui regole valgono per tutti. Un fronte unito che, come negli anni tristi che dovettero fronteggiare il totalitarismo in Europa, veda unite anche istanze sociali e politiche molto diverse tra loro.
Dobbiamo combattere davvero stavolta, e per combattere s’intende che non si può più delegare a rappresentanze parlamentari autoreferenziali i propri interessi e bisogni. Combattere significa non lasciar perdere. Significa intervenire in prima persona quando assistiamo a una violenza, che sia fisica o di sopraffazione dei diritti. Significa alzarsi e dire no soprattutto quando tutti dicono sì. Significa farsi carico cosciente che se questo è un mondo di merda è anche a causa del nostro silenzio che si trasforma in complicità. L’alternativa è lasciare spazio per sempre e senza ritorno ai Trump alle Meloni e ai Salvini.