Essendo cresciuto in una famiglia di vecchi rimbambiti ho iniziato ad andare ai funerali fin da quando avevo sei anni. Questo mi ha molto aiutato ad avere un rapporto sereno con l’argomento, la considero una parte naturale della vita, quella di chi resta intendo.
Eppure dando uno sguardo ai giornali siamo circondati soltanto dalla morte, dalla pandemia alle guerre all’inquinamento alle stragi. Uno dei primi caporedattori che ho avuto, per prendere in giro un collega rimasto male perchè un caso che “prometteva bene” si era rivelato un incidente, ci riunì e affermò solennemente: si muore persino di morte naturale.
Anni fa percorrendo con la macchina l’Autostrada del Sole trovavi una serie di avvisi sul tabellone elettronico nell’arco di poche centinaia di chilometri. “Il 25% degli incidenti mortali avviene per colpi di sonno” intorno al casello Roma sud. “Il 18% degli incidenti mortali avviene per guida in stato di ebbrezza” allo svincolo di Orte. “Il 20% degli incidenti mortali è dovuto a eccesso di velocità”, che essendo posizionato sul tratto Firenze-Bologna negli anni ’90, mentre eri costantemente fermo in coda, non incuteva molto timore. “Il 20% degli incidenti avviene perchè ti scaccoli mentri guidi”, che ovviamente è una mia invenzione, però insomma questo era il tenore degli avvertimenti lungo l’autostrada. A parte che per leggere i cartelli dovevi comunque alzare gli occhi evitando di guardare la strada per qualche secondo, quindi secondo me mancava l’avviso “Il 20 % degli incidenti mortali avviene perchè guardi cartelli come questo, stronzo!”.
Il problema era che volendo fare la somma c’era qualcosa che non tornava, perchè si arrivava al 180% di incidenti mortali. Mi sembra questo lo stesso rapporto, in senso proprio di proporzione, con la morte espresso oggi dai giornali. Terrorismo psicologico.
Se andate sulle pagine “salute” dei principali quotidiani il meccanismo è un po’ quello delle autostrade. Le cause dei tumori al colon, per esempio, o degli infarti o della demenza, variano a seconda delle stagioni e degli alimenti sotto accusa (e della fonte consultata).
Attenzione, non sto dicendo che non vi sia una correlazione tra stili di vita e l’incontro con la “Comare secca”, è che se sotto accusa per settimane è la carne rossa e poi per altri mesi i peperoni seguiti dal tè alla menta per spostarsi sul pepe, sul caffè e i fritti e poi apri la finestra in città e ti arriva in faccia una zaffata di piombo da carburante, insomma è chiaro che c’è qualcosa che non funziona nell’individuazione delle cause.
E’ che proprio non ci rassegniamo che si muore. Il che è naturale, ci mancherebbe. Naturale come il fatto che esista gente cattiva come me, che ha più soddisfazione quando muore uno che faceva una vita assolutamente sana, non beveva, non fumava, non scopava, aveva abbastanza soldi per potersi permettere un’alimentazione biologica e alla fine è andato sotto una macchina.
La qualità delle vita è talmente bassa in questa epoca che non ci resta che preoccuparci della morte. Certo che mangiare ai fast food fa male, ma se con un euro ci compri un panino che non potresti prendere altrove te ne infischi che questo accelera la tua morte, non è che hai altra scelta. E’ chiaro che quando paghi 40 centesimi una scatola di pomodori pelati stai alimentando la mafia e costringendo alla fame, in cui già ti trovi tu, migliaia di lavoratori soprattutto immigrati. Ma vai avanti un altro giorno. Vedi la questione dalla parte della vita e non della morte.
L’unico modo per esorcizzare la morte davvero è dare importanza alla vita e viverla. Detto così sembra semplice ma poi a parte gli alimenti e la natura che abbiamo corrotto c’è la tristezza, c’è la frustrazione, la miseria, lo sfruttamento.
C’è una tale mancanza di futuro che è molto più semplice ridurre a statistica le cause di morte suddividendole per cosa e come mangiava il de cuius che chiedersi se era sereno, se stava bene con se stesso, se amava la vita.
In questi giorni ricorre l’anniversario della morte di Nanni Loi, che definire regista è riduttivo. Con il suo Specchio segreto si era avventurato in una sorta di ricerca sulla vita che oggi nessuno manderebbe in onda. Talvolta era divertente altre drammatico. Ma era una domanda costante su cosa passava per la testa delle persone, quali fossero le loro idee, come si ponevano rispetto agli altri, all’idea proprio dell’altro da sè.
Mi piacerebbe poter riprendere quel filone di lettura sociale, contrapporre una grande inchiesta da nord a sud su come vivono le persone piuttosto che su come muoiono. Forse riusciremo a farlo con Diogene, ci stiamo pensando.
Nel frattempo state attenti ai cartelli sulle autostrade.
