Da che pulpito viene la predica, si potrebbe sottolineare, ma fa riflettere che sia Carmen Reinhart, capo economista della Banca Mondiale, ad affermare che secondo i dati del Fondo monetario internazionale più della metà dei paesi più poveri del mondo sono già effettivamente in bancarotta o sull’orlo del fallimento. Reinhart, considerata una delle migliori economiste mondiali, ha messo il dito su una piaga che in molti fanno finta di non vedere.
Potrebbero volerci molti anni prima che il numero crescente di paesi fortemente indebitati veda una riduzione sostanziale dei propri debiti, ha detto Reinhart, che ha citato i problemi dello Sri Lanka spiegando che riflettevano la crisi valutaria molto forte, un’inflazione elevata, il crollo della produzione, tensioni finanziarie e, appunto, la crisi del debito.
“Ci sono altri Sri Lanka in arrivo. Hai paesi come il Myanmar, il Laos. Questi non sono attori importanti nei mercati globali, ma sono in calo”, ha affermato Reinhart, citando anche Ghana ed Egitto per gli shock economici molto significativi che stavano affrontando a causa della guerra in Ucraina e dell’aumento dei prezzi di cibo ed energia.
Il quadro comune per il trattamento del debito concordato dal Gruppo delle 20 principali economie e dal Club di Parigi dei creditori ufficiali nell’ottobre 2020 si è rivelato una delusione, che non ha comportato nemmeno una singola ristrutturazione del debito dal suo lancio nell’ottobre 2020. “Le cose peggioreranno prima di migliorare”, ha spiegato Reinhart.
Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato il 2022 con grande difficoltà dopo che la pandemia di coronavirus ha ulteriormente eroso le loro economie negli ultimi due anni. I prezzi di cibo ed energia che stanno aumentando drasticamente soprattutto a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, alimentano l’inflazione. Per contrastare questo fenomeno la banca centrale statunitense, la Fed, ha alzato i tassi di interesse dallo 0,25 per cento di inizio 2022, al recente 2,5, dieci volte rispetto a otto mesi fa.
I tassi di interesse più elevati negli Stati Uniti stanno colpendo i paesi in via di sviluppo soprattutto convincendo gli investitori a ritirare i loro capitali da quelle aree. Questo comportamento finisce per rafforzare il dollaro e indebolire tutte le altre valute, rendendo più costoso il pagamento degli interessi sui prestiti. E quando i prestiti si esauriranno, i paesi in via di sviluppo dovranno prepararsi a costi di rifinanziamento molto più elevati.
Vediamo quali sono in questo momento i Paesi sull’orlo del falimento. Libano, Zambia, Sri Lanka e Suriname sono già in bancarotta. Anche la Russia lo è, tecnicamente, perché vuole pagare in rubli gli interessi, ma è molto diverso dai paesi sull’orlo del fallimento vero e proprio.
Egitto, Etiopia, Kenya, Nigeria, Tunisia e Ghana, per quanto riguarda l’Africa, hanno uno spread di oltre 10 punti percentuali. In Asia, lo stesso vale per il Pakistan, e il Bangladesh ha già chiesto aiuto al Fmi. Situazione critica anche in Argentina con le obbligazioni a un quinto del loro valore nominale e lo spread è 28 punti percentuali. In Sud America, anche El Salvador ed Ecuador potrebbero presto diventare insolventi.
L’Europa non è immune, a parte l’Ucraina per ovvie ragioniu, nella stesa regione rischia il fallimento la Bielorussia. Non sta bene nemmeno la Turchia, dove il tasso di inflazione è ormai dell’80%. Si aggiungono a queste situazioni gravi ben 70 tra i paesi più poveri, sempre secondo le stime Fmi. Sette già in bancarotta e altri trenta con un’alta probabilità di finirci.
Su tutto troneggia l’ansia per i segnali di crisi, per ora lievi, che provengono dalla Cina, diventata negli ultimi anni il più grande creditore dei paesi in via di sviluppo, a cui dedica il 60% sul totale dei suoi prestiti, e di conseguenza dinanzi a uno scenario che in precedenza non aveva mai dovuto fronteggiare, quello della “ristrutturazione” dei debiti se i debitori non sono più in grado di rispettare le scadenze.
