Alfredo Facchini
A partire dagli anni 60, negli Stati Uniti prende forma un colossale movimento di “Contestazione”. Protagonisti: i giovani nati nei primi anni del dopoguerra, i cosiddetti “baby boom”. In un primo momento, si tratta di una ribellione nei confronti della civiltà dei consumi e delle macchine. Prendono piede, da un lato, le culture alternative di stampo orientale, dall’altro, si fa strada un sentimento di sapore libertario e pacifista.
Successivamente, con l’aggravarsi del conflitto in Vietnam la “Contestazione”, politicizzandosi, sbarca nelle Università. Questa nuova fase debutta nel 1964 con l’occupazione dell’Università californiana di Berkeley.
«L’abissale sproporzione nel dispiego di forze del contesto bellico indocinese – da una parte la macchina bellica del Golia americano, dall’altra la disperata guerriglia del David vietnamita – non sembra che la conferma che il “sistema” non soltanto opera nel senso di una repressione implicita (attraverso le sirene del benessere e della felicità consumistica) ma anche nel segno di una violenza diretta ed esplicita nei confronti dei popoli» (Il Mulino, Marco Adorni)
Siamo al 1968. Un anno che diventa subito un sostantivo. La rivolta si allarga nel “Vecchio Continente”, assumendo, da subito, un carattere ideologico. I giovani europei scoprono il marxismo-leninismo. Rifiutano “l’americanizzazione” delle società occidentali. Sognano la Cina e la rivoluzione culturale di Mao. Fa da detonatore Parigi tra il maggio e il giugno del 1968. La capitale francese è teatro di travolgenti scontri fra manifestanti e polizia.
La protesta dilaga anche in Italia dove trova terreno fertile: preceduta dalle lotte dei movimenti contadini e operai dei primi anni del dopoguerra, poi dall’ondata di proteste culminata nel 1960 in occasione delle rivolte contro il “governo Tambroni”, sorretto dai voti dei neofascisti del “MSI”.
La Generazione che protesta non ha conosciuto in prima persona la guerra e il fascismo. La ribellione si caratterizza, in primo luogo, nei Licei e nelle Università contro: «grettezza baronale, disciplina autoritaria e morale bacchettona».
L’età media dei docenti universitari è vicina ai 60 anni. Molti, troppi si sono formati nell’Italia prima monarchica e poi fascista. Inoltre, l’esplosione degli iscritti negli Atenei – tra il 1956 e il 1966 gli iscritti sono raddoppiati – muta la natura antropologica delle università: da élite a luoghi di “massa”.
La protesta si sparge a macchia d’olio. Quasi tutti gli Atenei vengono occupati. La prima Università è Trento, il 24 gennaio 1966, poi è la volta di Milano, Torino, Roma, Napoli, Pisa.
È in questo contesto che il 1° marzo 1968 il movimento studentesco celebra il suo battesimo del fuoco con quella che verrà in seguito ricordata come la «battaglia di Valle Giulia».
A scatenarla la decisione del rettore dell’Università di Roma, Pietro Agostino D’Avack, di far sgomberare gli atenei occupati.
Quel giorno, con l’obiettivo di «riprendersi» la facoltà di Architettura a Villa Borghese, diverse migliaia di studenti partono da piazza di Spagna alla volta dell’ateneo, controllato dalle forze dell’ordine.
«Per due ore e mezzo, in via Gramsci, sulla collina della facoltà di architettura, c’è stata la guerra. Da una parte le forze dell’ordine con gli elmetti, i manganelli, le camionette corazzate, i camion con gli idranti, le bombe lacrimogene. Dall’altra gli studenti. Non è la prima volta in questi mesi, a Roma e in altre città, che polizia e studenti si scontrano. Ma la violenza non era mai arrivata a questo punto». (L’Espresso, 10 marzo 1968)
La foga poliziesca è inaudita. Per trovare esempi analoghi bisogna tornare con la memoria agli scioperi torinesi del 1961 o a quelli degli edili romani del 1964.
Per gli studenti l’appuntamento è venerdì alle 10 a piazza di Spagna. Rispondono all’appello almeno in 4 mila. Ma lungo la strada se ne aggiungono altri, molti sono liceali. Si forma un serpentone lungo 200 metri. Via Flaminia, viale delle Belle Arti, via Bruno Buozzi.
I fascisti appartenenti a “Primula” e “Caravella”, tentano di imbucarsi ma vengono respinti dal servizio d’ordine, riconoscibile dalla fascia verde al braccio.
Il corteo svolta su via Gramsci. Si attesta di fronte alla scalinata che sale alla facoltà di Architettura. Davanti a loro, disposti in più file, i poliziotti della Celere sono sul piede di guerra. I due schieramenti si fronteggiano. Intorno alle 11 inizia la battaglia.
«Sul muricciolo dell’Istituto culturale giapponese un ragazzo crolla di schianto colpito da un sanpietrino che gli ha fatto un buco nella testa. All’angolo di via Bruno Buozzi una Giulia della polizia investe quasi in pieno un gruppo di giovani che trasportano un ferito: un agente impugna il mitra». (L’Espresso, 10marzo 1968)
Bruciano le prime camionette. Parte la carica per riprendersi la facoltà. Ma le autopompe della polizia con gli idranti schiumogeni spazzano tutto e tutti. La Celere ha campo libero. Picchia selvaggiamente e arresta decine di studenti che vengono rinchiusi, per essere nuovamente pestati, nelle camere di sicurezza della questura centrale.
Alle 13 e 30 la battaglia di “Valle Giulia” è finita. Il conto dei feriti è altissimo: 148. Oltre 200 i denunciati.
La “battaglia di Valle Giulia” fu un momento decisivo per il ’68 italiano. Per la prima volta gli studenti rispondono alle cariche della polizia. Non hanno più paura.
Niente sarà più come prima.
Alfredo Facchini
