Due gruppi internazionali per i diritti umani stanno minacciando un’azione legale in Irlanda se i Revenue Commissioners e le autorità doganali non vieteranno le importazioni di cotone dalla Cina che sono ottenute utilizzando il lavoro forzato. I gruppi che chiedono il divieto sono Global Legal Action Network e il World Uyghur Congress con sede a Monaco.
In una comunicazione all’Agenzia delle Entrate, due gruppi affermano che deferiranno la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a Lussemburgo se l’Agenzia non imporrà tale divieto. Lo scopo è arrivare a un pronunciamento legale per riscrivere il rapporto tra i negozi al dettaglio e le merci prodotte attraverso il lavoro forzato” in tutta l’Unione Europea.
“Lo status quo è che commerciamo beni prodotti in un contesto di crimini contro l’umanità con il lavoro forzato”, ha affermato Gearóid Ó Cuinn, direttore del Glan, Global Legal Action Network, che ha sede in Irlanda e a Londra. “I negozi al dettaglio – ha proseguito – vendono questi prodotti con la piena consapevolezza di ciò che sta accadendo nello Xinjiang.
Glan e il Wuc, World Uyghur Congress, che ha sede a Monaco di Baviera, si stanno impegnando per imporre un divieto alle importazioni di cotone che potrebbero essere collegate all’uso del lavoro forzato nella provincia cinese dello Xinjiang.
Gli Stati Uniti hanno già imposto restrizioni a tutte le importazioni dallo Xinjiang per le quali esistono fondati sospetti che le merci provenienti dalla regione siano state prodotte con il lavoro forzato, a meno che non sia possibile provare il contrario.
Il regime cinese dal 2014 ha intensificato la repressione nello Xinjiang sostenendo di reprimere soltanto terrorismo ed estremismo politico. La provincia ospita gli uiguri e altri gruppi etnici turchi, in gran parte musulmani.
Lo scorso agosto l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un rapporto sull’ampia rete di campi forzati allestiti dalle autorità cinesi nello Xinjiang. “L’entità della detenzione arbitraria e discriminatoria di membri dei gruppi uiguri e prevalentemente musulmani – ha affermato – può costituire crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità”.
Le due organizzazioni umanitarie promotrici dell’iniziativa hanno già fatto sapere che se la richiesta viene respinta dalle autorità irlandesi chiederanno un parere al tribunale lussemburghese sul diritto dell’Unione Europea in materia.
Nella lettera all’Agenzia delle Entrate, i gruppi sostengono che il diritto dell’Ue e quello internazionale riconoscono esplicitamente il divieto della schiavitù, della servitù e del lavoro forzato o obbligatorio come un diritto umano fondamentale e che l’Irlanda è obbligata ad applicare le sue leggi sull’importazione in modo da rispettare tale divieto.
La Cina è il più grande produttore mondiale di cotone, con il 20% circa del totale annuo. Di questa produzione cinese oltre l’80% proviene dallo Xinjiang.
La repressione del governo di Pechino nello Xinjiang ha visto la costruzione di una vasta rete di quelli che le autorità descrivono come “campi di istruzione professionale” e, è stato detto al fisco, la rete dei campi è “intimamente collegata” all’industria del cotone della regione.
Secondo Glian e Wuc gli uiguri sono costretti a lavorare nelle fabbriche e nelle carceri della regione che esportano prodotti, in particolare tessili, verso i mercati internazionali, inclusa l’Irlanda.
La tesi delle due organizzazioni è che il cotone dello Xinjiang è “proprietà criminale”, perché ottenuto come risultato di crimini di lavoro forzato e crimini contro l’umanità. Pertanto, qualsiasi persona del Regno Unito che consapevolmente lo acquisisce commette un reato di riciclaggio di denaro.
