mercoledì, Ottobre 4, 2023
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Inchiesta sulla spesa sociale nel mondo. 1: La Francia

Dopo l’ultimo colpo di coda della pandemia, con l’economia in lentissima ripresa, si è riacceso il dibattito politico rispetto ai sussidi e agli aiuti economici per chi si trova in difficoltà o in condizione di povertà.
Mentre in Italia fa molto discutere la proposta trasversale di cancellare il reddito di cittadinanza, prima, sebbene ancora insufficiente, misura di alleviamento sociale della povertà disposta nel nostro paese negli ultimi venti anni, possiamo osservare nel resto dell’Unione Europea una situazione alquanto diversa, che ci mostra chiaramente il livello di arretratezza dell’Italia nella lotta alla povertà e al precariato. Iniziamo il nostro viaggio dalla Francia.


In Francia già dal 2009 è in vigore il Revenu de Solidarité Active (RSA – SOCLE), un sussidio pubblico per chi ha più di 25 anni, senza limiti temporali ed erogato anche per chi non lavora e non cerca attivamente un’impiego. Questa misura è venuta a sostituire il Revenu Minimum D’Insertion, altra forma di contributo uguale alla differenza tra il reddito minimo calcolato secondo la composizione familiare e l’insieme dei redditi della famiglia, che esisteva già dal 1988. Il RSA oltre a garantire un contributo di sussistenza viene affiancato a programmi di incentivi alla ricerca di un’ occupazione per chi già percepisce il reddito. Il Prime d’Activité ad esempio, è un sussidio di questo tipo, che consiste in un assegno mensile da 553,71€ se lo stipendio negli ultimi tre mesi è inferiore a 1846,5 € (1,5 volte più alto del salario minimo legale che al momento in Francia è di 10,85 € lordi all’ora, quindi un totale di 1302,64 € al mese per 35 ore di lavoro settimanale). Già nel 2020 Macron aveva proposto l’istituzione di un reddito universale, inserito in un piano da 8 miliardi di euro per la lotta alla povertà, con misure che includevano spese per i pasti per gli indigenti, aiuti alle famiglie e ai giovani per la ricerca del primo posto di lavoro o il reinserimento di coloro che lo hanno perso. Tutto a spese del governo.

Il regime di previdenza sociale in Francia si regge infatti all’80% su contributi, calcolati in base ad aliquote fissate a livello nazionale, provenienti dalle retribuzioni, in parte a carico del datore di lavoro in parte a carico del lavoratore. Queste imposte e tasse “impôts et taxes affectés” (ITAF) sono prelievi obbligatori esplicitamente stanziati al finanziamento della protezione sociale. Il CGS da solo, contribuzione sociale generalizzata, rappresenta metà delle tasse e imposte ITAF, che dal 2020 non coinvolgono chi ha meno di 11 463 € di reddito annui. Questo significa che ogni cittadino il cui reddito lo consenta partecipa e nutre il sistema di protezione sociale. È anche grazie a queste misure che la Francia è riuscita a gestire la crisi economica e del lavoro nonostante la pandemia, oltre al fatto di star provvedendo a far coincidere i sistemi di retribuzione all’inflazione e all’aumento dei costi della vita. Una crisi che comunque si è mostrata profonda anche in un paese come questo, con una vera rete di protezione e previdenza sociale. La pandemia ha fatto si che aumentassero le richieste di servizi di prima necessità e assistenza. Un esempio concreto, lo fornisce l’associazione “Restos du Coeur”, che opera nella regione di Belfort. Quest’associazione forniva in media 300 pasti a sera in tempi pre-pandemici. Già a marzo 2020 la media è diventata di 360 pasti a sera, fino ad arrivare ai 500 di giugno e agli 800 di agosto dello stesso anno.

La differenza con l’Italia è ancora più eclatante se si guarda ai dati per la spesa sociale e a quelli sui tassi di povertà tra la popolazione. In Francia nel 2017 il tasso di povertà relativo rispetto ai giovani tra i 18 e i 24 anni era del 12,5%, mentre in Italia nel 2018 era del 18,4%, classificandoci tra gli Stati con l’incidenza più alta in Europa. Negli ultimi quindici anni la Francia ha dedicato 3000€ di risorse in più all’anno per abitante rispetto all’Italia. Sempre nel 2018 le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale sono il 17,1% del totale, meno del 19% della Germania e del 28,9% dell’Italia (Il sole 24ore).

Nel 2017 l’Italia ha dedicato 30 miliardi agli aiuti alle famiglie contro i 55 miliardi della Francia; quest’ultima ha anche previsto 18 miliardi di aiuti abitativi contro appena 500 milioni stanziati qui da noi. La lista di dati potrebbe allungarsi all’infinito, ma per concludere è importante osservare che si tratta di un paese che ha quasi lo stesso numero di abitanti dell’Italia ( circa 67 milioni in Francia rispetto ai 60,42 milioni in Italia) e una situazione economica non così dissimile dalle risorse che abbiamo qui a disposizione: nel 2018 infatti il Pil francese è stato di 2, 787 migliaia di miliardi di dollari, mentre quello Italiano di 2,091 migliaia di miliardi di dollari, il 26% in più rispetto a una popolazione maggiore per numero di circa il 10%.

E si presenta simile il divario anche guardando al Pil pro capite, che nel 2018 da noi era di 34,321€ contro i 42,986€ della media tra i cittadini francesi. Non si può ignorare come un sistema di protezione sociale veramente solido sia alla base di un tale abisso, che separa la realtà italiana non solo dalla Francia ma da molti paesi europei. per quel che riguarda le spese, sarebbe bello qui dire sostenute ma è più aderente alla realtà dei fatti definirle come un desiderio, ormai visto come quasi irraggiungibile dalla maggior parte dei cittadini italiani, dallo stato per l’educazione, il lavoro e gli aiuti sociali.

E mentre in Italia si anela a uno stato sociale che in questo momento appare più un sogno, in Francia già si agisce concretamente: dal 1 marzo scorso, è partito nell’ Alta Garonna un vero e proprio esperimento sociale. A cura di Georges Méric, presidente del Conseil Départemental Haute – Garonne, la realtà locale che ha ideato l’iniziativa, un campione di 1000 giovani estratti a sorte tra i 18 e i 24 anni, che percepiranno il reddito universale per 18 mesi, verrà confrontato con un campione altrettanto largo di giovani che non lo riceveranno, per vedere se e come effettivamente inciderà sulla qualità della vita.

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