domenica, Settembre 24, 2023
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Inchiesta sulla spesa sociale nel mondo 4: Il Sudafrica

“Quando l’elettricità non può essere garantita, quando le ferrovie e i porti sono inefficienti, quando l’innovazione è frenata dalla scarsità di connessione a banda larga, quando la qualità dell’acqua si deteriora, le aziende sono riluttanti a investire e l’economia non può funzionare correttamente. I problemi del Sudafrica sono profondi e sono strutturali.”

Così Cyril Ramaphosa, presidente in carica del Sudafrica, raffigura la realtà in cui versa il Paese, senza usare mezzi termini, nel suo discorso sullo stato della nazione tenuto a Città del Capo il 10 febbraio 2022.

Il tema della povertà estrema, dilagante nel paese, come si potrà osservare a breve, non ha perso la centralità nel dibattito politico sudafricano sin dalla fine dell’apartheid e dall’elezione del partito di Nelson Mandela a guida della nazione, avvenuta nel 1994. L’African National Congress, Anc, il partito che riscuote dall’avvento del processo democratico la maggioranza dei consensi tra la popolazione e la maggioranza in Parlamento, ha iniziato però a perdere qualche colpo proprio per non aver tenuto fede alle promesse e gli impegni presi per combattere la povertà, che colpisce in maniera pesante il Sudafrica. La povertà da sempre rappresenta il punto nevralgico nell’agenda politica di tutti i governi dal ’94 in poi del Paese. Le misure e le risorse utilizzate per combattere il fenomeno si sono rivelate inconcludenti e la povertà resta ancora oggi il problema principale del paese.

Chissà cosa direbbe Mandela, che si ritirò dalla Presidenza nel 1999, guardando i demoralizzanti dati che descrivono come in Sudafrica, dopo l’Empowerment del 1994, la povertà per i neri non ha fatto che aumentare. Il processo per la fuoriuscita del Sudafrica dalla miseria è ancora molto lungo.

Cyril Ramaphosa

La situazione nella ex patria dell’apartheid insegna che ottenere dei diritti politici non equivale necessariamente alla conquista di un benessere equo e diffuso, soprattutto nel paese che oggi risulta, secondo il più recente rapporto della Banca Mondiale di marzo 2022, il più diseguale al mondo su 164 paesi analizzati. Nonostante il regime di segregazione sia finito da quasi trent’anni a livello politico, pare essere rimasto solido sul piano sociale: la maggior parte della popolazione nera, che rappresenta circa l’80% del totale, vive ancora nelle Township, aree urbane separate spesso in forte stato di degrado, e non ha accesso all’educazione. I dati sono impietosi: su una popolazione di quasi 60 milioni di individui il 55,5% della popolazione, 30,3 milioni di persone, vive in quella che in Sudafrica è la linea di povertà relativa, cioè riguarda chi si trova a vivere con meno di 890 rand al mese (circa 60 dollari americani), mentre 13.8 milioni di persone, il 18,9% della popolazione, sprofondano nella completa povertà alimentare, con meno di 1 dollaro e ,90 centesimi al giorno. Se si osservano poi i tassi di disoccupazione nel paese la situazione si aggrava ancora di più, tenendo conto che l’occupazione e la possibilità di trovare un impiego sono tra i fattori più incisivi quando si parla di “diseguaglianza delle opportunità”, come lo definisce la Banca Mondiale, per migliorare la propria situazione sociale, che viene considerata, nel rapporto, la prima causa del divario tra ricchi e poveri.

La disoccupazione in Sudafrica ha segnato infatti un nuovo record nell’ultimo quadrimestre del 2021, arrivando al 35,3% della popolazione, con la perdita di oltre 100.000 posti di lavoro tra il settore manifatturiero ed edile. La disoccupazione giovanile sembra però essere il fattore più preoccupante, con oltre il 50% dei giovani tra i 15 e i 34 anni senza un lavoro, anche a causa delle terribili condizioni in cui versa l’istruzione pubblica nel paese, quasi inaccessibile per i più poveri e spesso inadeguata nel fornire una formazione professionale.
È da precisare che questi dati sono comunque in linea con i gravi tassi di disoccupazione negli anni che hanno preceduto la pandemia da covid, sebbene questa abbia di certo aggravato la situazione causando l’impoverimento di 13 milioni di persone e la perdita di oltre 2 milioni di posti di lavoro.

Un altro rapporto, questa volta quello sullo sviluppo umano ad opera delle Nazioni Unite (Human Development Report), pubblicato nel dicembre 2020, prende in considerazione un’altra categoria nell’analisi della povertà, quella della povertà multidimensionale, che coinvolge chi sperimenta la povertà su più fronti. Si parla di persone che si trovano in cattive condizioni mediche o in stato di malnutrizione, di chi non ha accesso all’acqua pulita o a servizi sanitari e vive in abitazioni precarie. In Sudafrica si parla di almeno 4 milioni di persone che sperimentano questa realtà ogni giorno. Il paese è inoltre classificato 114°, su 189 paesi analizzati, secondo l’indice di sviluppo umano a causa delle previsioni future per cui sembra che lo stato di diseguaglianza e povertà sia destinato ad aggravarsi, specialmente nelle città, dove ogni cento persone in media 37 sono ritenute non povere, cioè al confine della soglia di povertà, mentre 63 risultano povere, un dato che nelle aree rurali s’inverte.

Entrambi i rapporti presentati mettono in luce come l’origine etnica sia un fattore chiave per l’analisi nella distribuzione della ricchezza nel Paese. Quel che emerge è come l’etnia contribuisca per il 41% alle disparità di reddito e fino al 30% per quel che riguarda le disparità per l’istruzione. Il 10% della popolazione possiede l’80% delle ricchezze del paese, e in questo 10% troviamo in stragrande maggioranza la popolazione bianca. Il 60% degli individui si trova invece a dover spartire il 7% della ricchezza totale. Non solo: secondo un’analisi del Ministero della Difesa italiano del 4 giugno 2020, il reddito della parte più povera della popolazione, quella nera, è inferiore del 50% a quello detenuto sotto il regime bianco prima del 1994. 17 milioni di neri vivono di sussidi sociali.

Il Presidente Ramaphosa sembra essere cosciente della gravità della situazione, come emerge da un discorso tenuto a giugno 2022 per la celebrazione della giornata della gioventù a Mthatha, nell’anniversario della strage di Soweto: “Il fatto che milioni di giovani non hanno un lavoro, né un’istruzione né una formazione è la più grande sfida che il nostro Paese deve affrontare oggi … L’ eredità dell’apartheid di povertà, disoccupazione e disuguaglianza, negli ultimi tempi, è stata aggravata dagli effetti della pandemia da covid, dai disordini del luglio 2021 e dalle devastanti inondazioni nel KwaZulu-Natal, nel nord-ovest e qui nell’Eastern Cape.”

Parole che rischiano di restare soltanto sulla carta, come lo stesso Ramaphosa ha specificato successivamente. Nel discorso tenuto in parlamento dal Presidente il 10 giugno 2022, nel corso del dibattito sulla votazione del bilancio della presidenza ha affermato che “In tempi recenti una serie di rapporti e studi hanno indicato che non raggiungeremo i nostri obiettivi per il 2030 nell’ambito del Piano di Sviluppo Nazionale.” Il Piano in questione delineava la visione dell’ Anc per il Sudafrica, ponendo al centro l’eliminazione della povertà e la riduzione delle diseguaglianze, tramite lo sviluppo di un’economia inclusiva.

Perché l’African National Congress non ha attuato riforme strutturali di contrasto alla povertà in aumento negli ultimi venti anni?

Se il Sudafrica verte in queste condizioni, nonostante sia uno dei paesi più ricchi di risorse naturali al mondo, è anche a causa delle politiche macro economiche attuate dal partito nel periodo post Apartheid. L’Anc, volendosi focalizzare sulla modernizzazione del paese e sul superamento di un’economia principalmente agricola e basata sull’estrazione di minerali, di cui il paese è ricchissimo, per incentivare invece il settore manifatturiero e industriale. I propositi di uguaglianza sociale ed economica del “Freedom Charter”, il documento programmatico del partito che fu di Mandela, non hanno visto attuazione sul piano pratico, soppiantati invece dall’illusione liberista di un arricchimento individuale per tutti che sarebbe derivato dall’accumulo e dal libero scambio di risorse a livello nazionale. Nonostante le conquiste politiche l’Anc non è riuscito ad attuare quel processo di nazionalizzazione delle risorse che si era prefissato, rendendo impossibile la redistribuzione della ricchezza e l’incremento dei servizi pubblici. La linea politica è stata focalizzata sulla scelta di ripagare il debito lasciato dal regime degli Afrikaners, allo scopo di apparire più affidabili agli occhi della comunità internazionale e spingere gli investitori a iniettare denaro nell’economia del paese. A oggi molti dei servizi pubblici, come il servizio sanitario, sono penalizzati dalla competizione con i servizi privati. Le differenze si possono immaginare facilmente: il 79% dei medici lavora nel settore privato.

Le poche soluzioni che il partito è riuscito a concretizzare dal 1994, in termini di investimenti sullo sviluppo sociale, hanno sempre riguardato la creazione di nuovi posti di lavoro anziché costruire una vera rete di previdenza sociale, rivelandosi inadeguate al fine di ridurre le disuguaglianze, poiché non includono nell’analisi del problema temi centrali come un effettivo incremento ai sussidi, ai servizi pubblici di ogni genere e in particolare all’educazione e alla formazione. Continuano invece a incentrarsi sullo sviluppo economico, come se quello umano o individuale ne fosse una conseguenza diretta. Anche l’attuale governo non sembra voler deviare da questa linea, come si può osservare dall’annuncio, nell’ottobre 2020, dell’ operazione “Vulindlela”, che in lingua Xhosa significa “Aprire la strada”, a opera della presidenza e del Ministero del Tesoro, per un aumento degli incentivi forniti in quattro ambiti industriali, precisamente l’energia, l’acqua, le comunicazioni digitali e i trasporti. L’obiettivo è la creazione di nuovi posti di lavoro. Questo avviene in un contesto in cui quasi il 70% dei lavoratori in Sudafrica vive di lavoro informale, non percepisce un salario masi tratta invece di venditori ambulanti di beni o di cibo particolarmente penalizzati dalla pandemia a causa del lungo lockdown.

Allo stesso tempo l’aiuto individuale per chi si è trovato in stato di difficoltà durante la pandemia, il Social Relief of Distress Grant, consisteva in un pacco o buono alimentare al mese, per tre mesi, garantiti a chi può essere riconosciuto come vittima di un disastro, nel caso il capofamiglia sia morto o non si riceva il mantenimento dall’altro genitore, oppure se si risulta non idonei a lavorare. C’è da dire che solo alcune province hanno distribuito l’aiuto sotto forma di contanti, evitando così di circoscrivere come unica necessità primaria delle persone il cibo. La validità di questa misura è stata messa in discussione solo nel gennaio 2022, momento in cui si è valutato il miglioramento e l’estensione del contributo.

Sebbene siano stati introdotti, nel corso del tempo, dei sussidi per aiutare chi si trova in difficoltà, questi si dimostrano inefficaci e non riescono a coinvolgere la maggior parte di coloro che ne hanno bisogno, come il Child Support Grant, Csg, un assegno per il mantenimento dei bambini fino ai 14 anni di età introdotto nel 1998, una delle misure più importanti per cui viene speso il 3,4% del Pil ogni anno. L’assegno garantisce tramite la South Africa Security Agency 460 rand al mese circa 27 euro, di cui beneficiano 11,2 milioni di bambini, il 60% di coloro che ne avrebbero bisogno. Dal 2010 un bambino deve dimostrare di frequentare una scuola per ottenerlo. Questa clausola, pensata per incentivare l’educazione giovanile, ha invece penalizzato chi per motivi pratici non può permettere ai propri figli di completare il ciclo di studi.

Un’altra tra le principali forme di contributo sociale è la pensione di vecchiaia, che da sola rappresenta l’importo più alto della spesa pubblica tra tutti i programmi di assistenza sociale, che garantisce fino a 21.000 rand ogni anno, 1258 euro circa. Questo contributo esisteva in realtà già negli anni venti del secolo scorso, con la differenza che i bianchi ricevevano benefici superiori di dieci volte rispetto a quelli concessi alla popolazione di colore. Bisogna riconoscere al governo almeno il fatto che l’importo del sussidio viene di norma adeguato ai tassi di inflazione, molto alti in Sudafrica.

Piccoli contributi vengono erogati anche come assegni di invalidità per le persone con disabilità fisiche. Una delle ultime misure del governo è stata la creazione di una piattaforma giovanile online, SAYOUTH, allo scopo di fornire ai giovani opportunità di guadagno, specialmente tramite partnership con gli enti privati, che, come si è visto poco sopra, rappresentano il più grande motore economico del paese. Finora un totale di 37.500 giovani ha ricevuto incentivi per l’apertura di nuove imprese. Una cifra irrisoria se si guarda ai dati analizzati prima.

Senza dare alle persone in povertà strumenti economici necessari per la loro stabilità e poter quindi concentrarsi sulla formazione necessaria al miglioramento sociale, invece di aiutarle a malapena a sopravvivere, sarà difficile vedere cambiamenti concreti, come hanno dimostrato le politiche adottate dal Sudafrica nelle ultime due decadi.
I cambiamenti necessari non possono avvenire solo tramite l’ampliamento del mercato del lavoro, che si è già dimostrata un’impresa più che ardua, e le partnership con aziende private. Fino a che non verrà creato un vero stato sociale sarà impossibile per l’economia del paese risollevarsi. Perché non basta semplicemente lavorare, bisogna anche essere messi nelle condizioni per farlo, mentre si vive dignitosamente.

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