venerdì, Giugno 2, 2023
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Inchiesta sulla spesa sociale nel mondo 6: Il Vietnam

I cambiamenti sostanziali vissuti dalla Repubblica socialista del Vietnam, sociali ed economici, sono caratterizzati principalmente dal fatto di essere avvenuti in maniera intensa e in un lasso di tempo molto breve.

Devastato prima dalla colonizzazione francese, e in seguito dalla guerra con gli Stati Uniti, la situazione del Vietnam nel 1973 non lasciava ben sperare rispetto al benessere della popolazione. Tuttavia, nonostante le crisi economiche cicliche, che hanno comportato negli anni ’80 tassi di inflazione del 300%, questo paese è stato in grado di attuare un cambiamento di rotta radicale, garantendo il benessere minimo a una larghissima fetta di popolazione che prima verteva in condizioni di povertà estrema e ad oggi si propone di diventare un paese ad alto- medio reddito entro il 2045, dopo essere stato inserito nel 2005 dall’istituto Goldman Sachs nei paesi tra le “Next Eleven Economies”, anche se figura tra i più poveri della lista, ovvero quelli destinati a trainare l’economia mondiale una volta che i paesi del Bric si saranno affermati definitivamente tra i leader del globo.

Fino al 1993 infatti, in Vietnam il 60% della popolazione era al di sotto della linea di povertà mentre la maggior parte al di fuori di questa stima era in condizioni di instabilità economica, sebbene non considerato povero. Con uno sforzo enorme questo numero, che rappresenta coloro che vivono con meno di 3,20 dollari statunitensi al giorno, si è ridotto al 5% nel 2020, con 50 milioni di persone uscite dalla povertà tra il 1993 e il 2014, di cui 10 milioni di persone solo nella decade tra il 2010 e il 2020. Tuttavia a causa delle crisi economiche mondiali e della pandemia, vi sono attualmente 13,6 milioni di persone non povere, ma economicamente instabili. Si calcola inoltre che il 40% classe media rischi di scivolare in un gruppo sociale economicamente inferiore, oltre a un 5,7% di “poveri multidimensionali”. Usando però come parametro la moneta nazionale, il dong, considerando quindi il vero potere d’acquisto della moneta locale, con la linea di povertà fissata a 2 milioni di dong al mese, la popolazione povera arriva ad annoverare fino a 17 milioni di individui. A questi numeri si aggiunge un altro 1,2% della popolazione che, nonostante sia occupata, raggiunge vette di povertà estrema con una disponibilità di spesa di meno di 2 dollari al giorno. Quest’ultimo dato ci segnala inoltre il problema della bassa retribuzione del mercato del lavoro, composto principalmente da lavoratori informali e da agricoltori, sebbene il governo abbia avviato già dal 2010 numerosi programmi per incentivare il settore manifatturiero e industriale. La maggior parte della popolazione del Vietnam, infatti, fatta eccezione per Hanoi e Ho Chi Minh City, i due poli urbani principali, è distribuita sulla costa o nelle aree agricole del nord, che sono al contempo le aree con i tassi di povertà più elevati.

by Rush Murad

Le politiche di sicurezza sociale sono da sempre considerate dalla classe dirigente il motore del Paese, per cui se un’individuo beneficia di maggior benessere potrà partecipare e contribuire attivamente all’economia.

È per via di questa considerazione che nel 1986 il governo vietnamita, consapevole dei limiti materiali che lo Stato aveva per occuparsi del fabbisogno della popolazione, attua per la prima volta un’ intenso programma di riforme socio economiche, chiamato Doi Moi, rinnovamento, per creare un’economia socialista orientata al mercato, che porterà nei decenni successivi un’aumento del benessere generale tra la popolazione, nonostante alcuni aspetti controversi, come vedremo tra poco.

La concessione di maggiore spazio all’iniziativa individuale, smantellando gradualmente, con la Resolution 10 del 1988, il sistema di gestione della terra che assegnava campi coltivabili alla gestione delle cooperative statali, spesso infruttuose e non in grado di garantire una giusta redistribuzione delle risorse, e assegnandole invece alla gestione delle famiglie, il governo vietnamita è stato in grado di introdurre nel mercato interno un maggior afflusso di beni alimentari permettendo al contempo alle famiglie di accedere alle risorse alimentari in maniera più facile, oltre a diventare il secondo esportatore di riso al mondo.

Parallelamente il governo ha strutturato nel tempo una rete di protezione sociale in vigore tutt’ora, molto ampia, a cui è destinato oltre il 50% del budget statale, sebbene criticata dalle Nazioni Unite per la loro frammentarietà e mancanza di sistematicità. È previsto l’accesso al sistema sanitario nazionale senza bisogno di pagare l’assistenza per i poveri e i lavoratori informali, che costituiscono una larga fetta della popolazione. Di questo accesso, per farci un’idea concreta delle condizioni reali della popolazione, beneficia il 77% degli individui. Sistemi di protezione sociale e sussidi sono garantiti anche alle categorie deboli, persone in pensione, disabili, bambini e anziani, sebbene vengano evidenziate carenze diffuse, specialmente tra questi ultimi ad esempio, per cui sembra che il sistema non riesca a coprire il 30% di chi ne avrebbe bisogno.
Un’altra importante misura è l’esenzione prevista per i poveri dal pagamento delle tasse per l’educazione. Il governo vietnamita ha attribuito grande importanza all’educazione, infantile in particolare, con tassi di alfabetizzazione tra i più alti del sud est asiatico, con il 94% circa della popolazione tra i 15 e i 60 anni alfabetizzata, dato che arriva al 97,91% se si considera la categoria tra i 15 e i 35 anni. Un punto di criticità è invece rappresentato dalle assicurazioni sociali a carico dei datori di lavoro ma incentivate dallo Stato, riservate generalmente a chi ha un contratto di lavoro di durata superiore a un mese e questo rappresenta un problema concreto in un paese con un alto tassi di lavoratori informali.

La mancanza di sistematicità oggetto della critica delle Nazioni Unite è principalmente dovuta al fatto che vi sono numerosissimi programmi di protezione e incentivi sociali che si sovrappongono minando così la loro effettività, indirizzati a specifici gruppi sociali vulnerabili, più che essere centralizzati dallo Stato, sebbene questo sia dovuto anche agli alti tassi di diseguaglianza regionale, per cui si trovano porzioni di paese che presentano concentrati tassi di povertà che superano il 60%.

Nel 2012, tentando di migliorare il sistema di welfare, è stata approvata una risoluzione in quattro punti che prevede incentivi per estendere sicurezza e assicurazione sociale, nonché gli incentivi per la creazione di nuovi posti di lavoro e misure per assicurare un reddito minimo al fine di ridurre la povertà, misura, quest’ultima, che ancora deve trovare attuazione concreta.

È stato inoltre previsto, in vista delle difficoltà e dell’arresto della crescita comportato dalla pandemia e dal cambiamento climatico, dato che il Vietnam è uno dei cinque paesi più colpiti al mondo dall’inquinamento, dovuto alla sua rapidissima industrializzazione, avvenuta nell’arco di tre decadi, uno stanziamento annuo a partire dal 2021, sino al 2025, di 3.3 miliardi di dollari per attuare il piano di riduzione della povertà delle famiglie, con l’obiettivo di ridurne il numero alla metà, e inoltre garantirne la stabilità economica nel lungo periodo, di cui 2.1 miliardi interamente stanziati dal governo.

È importante il fatto che il governo concentri la sua attenzione già da ora, nonostante la precarietà delle condizioni della popolazione e della qualità della vita, che ancora rappresentano una sfida problematica per il Paese, non solo sull’eliminazione della povertà, ma sul migliorare le condizioni anche di chi, sebbene ne sia uscito, non ha ancora raggiunto la stabilità necessaria a mantenere un benessere costante, senza il rischio di ricadute per cui un imprevisto portato da una crisi potrebbe comportare la discesa nel gradino sociale inferiore, con l’obiettivo dichiarato di incentivare la crescita della classe media vietnamita.

by Jaako
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