a cura del Comitato Paul Rougeau
Secondo il rapporto, pubblicato dalla Iranian Human Rights Society nel 2022 sono state messe a morte almeno 623 persone, 273 in più rispetto al 2021, soprattutto per crimini legati alla droga o per omicidio. Di queste, 608 erano uomini e 15 donne, e tra tutte almeno 12 erano prigionieri politici, 2 dei quali furono impiccati in pubblico. Tra i giustiziati c’erano anche 5 minorenni. Le province più colpite sono state il Baluchistan e Alborz.
Le proteste contro il regime iniziate il 18 settembre 2022, a seguito della morte della 22enne Jina Mahsa Amini, uccisa dai poliziotti mentre era in loro custodia con l’accusa di non aver indossato il velo in modo appropriato, sono ancora in atto. Per fermare questa ribellione, in 100 giorni sono state arrestate decine di migliaia di persone, molte sono state torturate, e moltissime sono state uccise in modo sommario o condannate a morte. Sono stati anche uccisi e torturati molti atleti iraniani che sostenevano pacificamente le proteste, a cui è stato sparato senza neppure subire un processo.
Anche molti giornalisti, uomini e donne, sono stati arrestati, in particolare ricordiamo l’editor delle notizie politiche per il giornale indipendente Etemad Online, Mehdi Beyk, catturato dopo che aveva intervistato i familiari di molti dei ribelli che erano stati arrestati. Ovviamente gli fu subito confiscato il cellulare e il computer.
Tanti giovani sono stati giustiziati in relazione alle proteste. Descriviamo qualche caso a modello di tantissimi altri.
Mohammad Mehdi Karami, un campione di karate di 22 anni, è stato impiccato il 7 gennaio, appena 65 giorni dopo il suo arresto. Fonti hanno detto alla BBC Persian che gli furono concessi meno di 15 minuti per difendersi in tribunale. Era stato accusato del reato capitale di “corruzione sulla Terra” e processato davanti a un tribunale rivoluzionario a Karaj il 30 novembre insieme ad altre 16 persone, tra cui tre minorenni, anch’essi accusati di coinvolgimento nell’omicidio. I giornalisti e i membri della famiglia dell’imputato non possono essere in tribunale, quindi l’unica finestra su ciò che accade dietro le porte chiuse è il filmato pesantemente modificato rilasciato dalla magistratura. In uno di questi video, Karami appare visibilmente angosciato mentre “confessa” di aver colpito il membro Basij sulla testa con un sasso.
Il suo avvocato d’ufficio non contesta questo e, invece, chiede perdono al giudice. Karami poi dice di essere stato “ingannato” e si siede. “Papà, ci hanno dato il verdetto. La mia è la pena di morte. Non dire niente alla mamma”, ha raccontato il padre di Karami, ricordando la sua ultima telefonata e ribadendo l’innocenza del figlio. Successivamente, un gruppo di attivisti dell’opposizione ha pubblicato un account sui social media in cui afferma che Karami era stato torturato. Aveva detto alla sua famiglia durante un incontro in prigione di essere stato picchiato fino a fargli perdere i sensi dalle guardie.
Queste avevano pensato che fosse morto e avevano scaricato il suo corpo in una zona remota, ma mentre se ne andavano si erano resi conto che era ancora vivo. Karami aveva anche detto alla sua famiglia che gli agenti di sicurezza gli avevano “toccato i genitali ogni giorno e minacciato di violentarlo” durante gli interrogatori. La famiglia ha quindi cercato di assumere uno dei più importanti avvocati per i diritti umani dell’Iran, Mohammad Hossein Aghasi. “Karami mi ha chiamato dalla prigione tre volte e mi ha chiesto di rappresentarlo. Anche i suoi genitori mi hanno esortato a rappresentare il loro figlio”, ha detto Aghasi. Il signor Aghasi ha scritto al tribunale locale e poi alla Corte Suprema. In ogni fase, le sue lettere sono state ignorate o respinte. E anche il ricorso contro la decisione della Corte Suprema è stato escluso da un giudice.

Secondo le notizie che circolano sui social, Zahra Nabizadeh, una donna incinta rapita nella città di Mahabad circa 3 settimane fa, ha ricevuto una condanna a morte ed è in attesa di esecuzione. Zahra Nabizadeh è stata rapita la sera del 25 dicembre 2022 dalle forze di sicurezza del regime clericale senza mandato di arresto e portata in un luogo segreto. Era incinta di 6 mesi al momento del suo arresto. Gli interrogatori l’hanno presa a calci nell’addome, tanto forte che la donna ha subito un aborto spontaneo sotto tortura e attualmente sta soffrendo di gravi emorragie.
Hassan Firouzi, di 34 anni, è stato arrestato nel novembre 2022 e condannato alla pena di morte da eseguire appena si sarà rimesso dalle ferite subite in carcere, perché per una perversa e tragica ironia si deve essere “sani”, almeno in apparenza, per morire nella “guerra contro Dio”. Non gli è stata concessa alcuna assistenza legale ed è stato condannato dopo un processo sommario alla pena capitale. Il 16 gennaio 2023, prima di essere riportato dall’ospedale in prigione senza le necessarie cure, Hassan ha lanciato un appello al popolo iraniano.
“Chiedo una sola cosa al popolo iraniano: fate qualcosa perché io possa vedere mia figlia per l’ultima volta. Che io firmi o meno la confessione mi uccideranno. Il mio unico desiderio è di vedere per l’ultima volta mia figlia prima che uccidano me. Dopo 10 anni, Dio finalmente ci ha dato una bambina e io ho potuto vederla solo per 18 giorni prima di essere arrestato”. Rapporti del 23 gennaio scorso di attivisti iraniani per i diritti umani indicano che Hassan, a causa delle gravi lesioni riportate durante l’interrogatorio e l’assenza di cure mediche, sia entrato in coma. Durante gli interrogatori sarebbe stato duramente picchiato con una sedia e l’assenza di cure avrebbe determinato una grave emorragia con perdita della funzionalità di un rene.
Finora oltre 60 persone sono state giustiziate dall’inizio di gennaio (alcune senza che venisse neppure ufficializzata la loro accusa). Se il ritmo di esecuzioni non dovesse diminuire, questo nuovo anno si chiuderebbe con un totale di morti ancora più elevato del 2022.
E queste sono solo le morti conseguenti a una condanna alla pena capitale, molte altre persone sono state uccise e torturate direttamente dalla polizia. Tra le varie forme di tortura usate per estorcere confessioni, vi sono scariche elettriche, percosse, abusi sessuali, ghiaccio tenuto sui testicoli per giorni consecutivi, percosse sulla pianta dei piedi, isolamento totale per oltre un mese in celle infestate da topi e scarafaggi.
