Il sito destinato a ospitare la più grande miniera di litio d’Europa, nella valle del Jadar in Serbia occidentale, colpisce per la mancanza di manifestazioni visibili di dissenso: non si vedono cartelli o striscioni di protesta lungo le strade, né graffiti o simboli sui muri delle case.
Solo qualche segnale artigianale con la scritta “No all’estrazione mineraria, sì alla vita” e un cartello dell’iniziativa “Ne damo Jadar” che ribadisce l’intenzione di non cedere.
Proseguendo verso sud, però, si incontrano molte case abbandonate, alcune chiuse come se i proprietari fossero in vacanza. In realtà, sono state acquistate dalla compagnia mineraria Rio Tinto, che ha recintato le proprietà con nastri e avvisi di pericolo in diverse lingue.
Le abitazioni sono disabitate e i frutti nei campi restano non raccolti, mentre il silenzio domina nel villaggio di Gornje Nedelijce. Tuttavia, il progetto della miniera di litio nella valle di Jadar sta suscitando polemiche ben oltre la Serbia. A Belgrado, migliaia di persone hanno manifestato contro il piano, preoccupate per l’impatto ambientale.
L’eco della vicenda è arrivata fino a Berlino, Bruxelles e Pechino, dove alcuni accusano gli Stati Uniti di fomentare le proteste per destabilizzare il presidente serbo Aleksandar Vučić.
Vučić ha ricevuto consensi internazionali per il suo sostegno all’Ucraina e ha recentemente accolto il presidente francese Macron, mentre a luglio ha firmato un accordo strategico con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e l’Unione Europea sulle materie prime sostenibili.
Il progetto prevede che Rio Tinto investa 2,5 miliardi di euro nella miniera, oltre a creare migliaia di posti di lavoro nella produzione di batterie e veicoli elettrici, riducendo la dipendenza dell’Europa dalla Cina per il litio. Nonostante la promessa di rispettare gli standard ambientali dell’UE, il progetto è altamente controverso in Serbia.
Nel 2022, dopo proteste di massa, Vučić aveva revocato la licenza a Rio Tinto, salvo poi restituirla dopo la sua rielezione. La miniera, situata a circa due ore di macchina da Belgrado, dovrebbe essere la più grande riserva di litio in Europa, contenente anche boro, un altro elemento raro. Rio Tinto prevede di iniziare la produzione entro il 2032, con un progetto che durerà almeno 50 anni.
Molti abitanti della zona, però, non credono alle promesse della compagnia mineraria. Nebojša Petković, Vladan Jakovljević e Zlatko Kokanović, fondatori del gruppo “Ne damo Jadar”, si oppongono fermamente alla miniera, temendo la distruzione del paesaggio e i rischi ambientali legati all’inquinamento delle acque.
Kokanović, in particolare, insiste che non venderà mai le sue terre, che la sua famiglia possiede da generazioni. Eppure, Rio Tinto ha già acquisito gran parte delle proprietà, offrendo somme considerevoli ai proprietari, soprattutto in una zona economicamente depressa.
Nonostante l’opposizione, una parte della popolazione locale vede il progetto come un’opportunità per rilanciare l’economia. Loznica, la città vicina, ha subito un forte declino industriale e molti giovani hanno lasciato la regione.
Alcuni, come la giornalista Vanja Bojinović, credono che la miniera possa invertire questa tendenza. Tuttavia, la vicenda è stata amplificata dai social media durante la pandemia, contribuendo a una polarizzazione dell’opinione pubblica serba.
La complessità della situazione si riflette anche a livello politico, con fazioni opposte che sostengono o si oppongono al progetto per motivi differenti. I liberali vedono nella miniera un rafforzamento del potere di Vučić, mentre i nazionalisti temono che la Serbia diventi una colonia economica dell’Europa.
Nel frattempo, i sostenitori di “Ne damo Jadar” (non diamo Jadar) continuano la loro battaglia, supportati da ONG e gruppi ambientalisti, nonostante siano numericamente pochi.
La controversia sulla miniera di litio nella valle di Jadar è tutt’altro che risolta, e la tensione tra interessi economici e preoccupazioni ambientali continua a crescere.