La Corte Costituzionale ha messo uno stop deciso a una parte fondamentale della legge sull’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni. Sette articoli sono stati giudicati incostituzionali, con motivazioni che affondano le radici nei principi cardine della nostra Costituzione.
Il progetto iniziale puntava a concedere maggiore autonomia alle regioni, dando loro il controllo diretto su materie cruciali come sanità, istruzione e trasporti. Tuttavia, le critiche non hanno tardato ad arrivare, soprattutto da chi temeva che questa riforma avrebbe ampliato il già evidente divario tra Nord e Sud del Paese.
La distribuzione delle risorse, legata alla capacità fiscale delle singole regioni, avrebbe rischiato di penalizzare ulteriormente le aree più fragili, che già oggi faticano a garantire servizi essenziali ai cittadini.
I Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), pensati per uniformare questi standard, erano stati affidati a decreti governativi che non prevedevano un coinvolgimento pieno del Parlamento. Questo accentramento di potere ha alimentato le critiche di chi vedeva nella legge un progetto sbilanciato e potenzialmente pericoloso per la coesione nazionale.
La Corte ha bocciato queste disposizioni, definendole contrarie ai principi di uguaglianza e solidarietà sanciti dalla Costituzione. Ma il colpo di scena ha avuto effetti anche sulla richiesta di referendum contro l’autonomia differenziata, che ora si basa su un testo in parte superato.
La confusione regna sovrana, un risultato che spesso accompagna i progetti calati dall’alto senza un reale confronto democratico.
E qui sorge il parallelo inevitabile con il referendum costituzionale del 2016, che segnò l’inizio del declino di Matteo Renzi. Anche allora, si tentò di modificare parti cruciali della Costituzione senza un vero dibattito nel Paese, spingendo una visione centralizzata del potere che fu respinta con forza.
Il risultato fu una bocciatura storica alle urne e il tramonto di un leader che sembrava inarrestabile.
Giorgia Meloni oggi si trova su un sentiero molto simile. La sua proposta di autonomia differenziata, presentata come una grande riforma, si è scontrata con il muro della Costituzione e con le resistenze di chi vede in questo progetto un tentativo di disgregare il Paese.
Come nel caso di Renzi, anche qui il problema non è solo il merito della riforma, ma il metodo: imporre cambiamenti epocali senza costruire un consenso vero.
Tentativi autoritari di scardinare l’assetto costituzionale finiscono sempre nello stesso modo. La storia recente lo insegna: chi prova a piegare la democrazia alle proprie ambizioni viene respinto. E spesso, a quel punto, non c’è referendum che tenga.