Il problema dell’acqua affligge da sempre la Giordania, l’approvvigionamento idrico domestico, già ridotto a 36 ore settimanali ha subito un’ulteriore riduzione, rendendo difficile per i cittadini prevedere quando arriverà l’interruzione.
Le cause sono molte e tutte intrecciate tra loro. La crescita demografica, in gran parte a causa delle ondate di rifugiati dalla Siria e da altri paesi in conflitto, il cambiamento climatico, i danneggiamenti alle infrastrutture. Ma su tutte primeggia la vicinanza di tutte le fonti idriche ai confini, che significa, oltre ai problemi di rapporti con Siria e Israele per l’acqua, che questa deve essere trasportata nell’entroterra. L’aumento dei prezzi del carburante ha contribuito nell’ultimo periodo a rendere molto oneroso il trasporto.
La popolazione giordana, che soltanto dieci anni fa era di otto milioni di persone, ha raggiunto gli undici milioni, 760 mila circa sono rifugiati. Le precipitazioni di pioggia sono diminuite drasticamente negli ultimi decenni e le temperature più calde significano che ciò che piove evapora rapidamente. Le estati più lunghe e più calde hanno già accorciato le stagioni di crescita e raccolto per gli agricoltori.
Il flusso nel fiume Giordano è inferiore al 10% della sua media storica e il fiume Yarmouk, un importante affluente, è notevolmente ridotto. Le acque del Giordano sfociano nel Mar Morto, un lago di acqua salata che sta scomparendo.
Come ricordavamo sopra Israele e Siria hanno deviato per anni l’acqua per uso proprio e questo ha portato a un’eccessiva dipendenza dall’estrazione di acque sotterranee dalle falde acquifere sotto la superficie terrestre. Le falde acquifere vengono drenate a circa il doppio della velocità con cui possono essere reintegrate naturalmente e ora rappresentano circa il 60% dell’approvvigionamento idrico del paese.
I più abbienti, nei quartieri ricchi di Amman, si rivolgono a compagnie private, ma i prezzi sono talmente aumentati da rendere proibitivo il rifornimento. Chi può aggiunge ai serbatoi fissati in comune sui tetti dei palazzi i propri serbatoi privati, riempiti con acqua acquistata dai privati.
I poveri naturalmente non possono permettersi di acquistare da privati e sono quelli più colpiti in maniera drammatica dalla situazione di emergenza idrica. Avere un serbatoio privato fa la differenza tra un ricco e un povero. Quando uno di questi si rompe e si resta senza poter immagazzinare acqua per la settimana, l’unica alternativa è rivolgersi ai vicini anche per fare una doccia.
La quantità media di acqua disponibile ogni anno per un residente in Giordania è ben al di sotto della soglia di scarsità idrica assoluta di 500 metri cubi fissata dalle Nazioni Unite. Secondo il governo la situazione attuale è intorno agli 80 metri cubi per persona. La speranza del futuro è la desalinizzazione, ma ci vorranno anni prima che i progetti, come quello per desalinizzare Aqaba, diventino realtà.
Ad aggravare la crisi idrica ci sono i cattivi rapporti con Israele, che potrebbe essere una fonte importante per cooperare alle procedure di desalinizzazione, per cui ha sviluppato da tempo tecnologie avanzate. La questione palestinese, almeno la metà della popolazione giordana è palestinese, rende però sgradita la collaborazione ai cittadini. La mancanza d’acqua rischia dunque di trasformarsi in un problema di sicurezza nazionale.
La gestione dell’acqua è fondamentale per l’agricoltura giordana, nonostante la scarsa incidenza che questa riviste sul prodotto interno lordo. Dal 70% del totale l’uso di acqua in agricoltura è passato rapidamente al 50%, costringendo i contadini a rinunciare alle colture ad alta intensità idrica come melanzane, pomodori e peperoni per spostarsi, ad esempio, sui datteri che vengono irrigati anche con acqua salata.
Il governo si trova dunque alle prese con un problema di duplice natura. La necessità di aumentare l’offerta d’acqua per limitare il malcontento dei cittadini, ma al tempo stesso questo significa aumentare i prezzi in base al reddito familiare in una nazione dove la maggior parte della popolazione lotta con la disoccupazione e i prezzi elevati. Il rischio è quello di una rivolta popolare.
