Avevamo pensato, durante le riunioni di redazione di Diogene, all’inizio della campagna elettorale, di tenere un diario aggiornato delle proposte dei partiti sulla povertà. Un quotidiano che si occupa degli ultimi è direttamente interessato alle proposte di politica economica dei partiti, soprattutto quando alcuni di questi formeranno il nuovo governo e le promesse potranno essere verificate nell’azione dell’esecutivo.
Poi abbiamo letto i programmi elettorali e abbiamo capito che non è un nostro pregiudizio populista ritenere che della povertà reale non importi quasi niente a quasi nessuno, ma un dato di fatto. E per un motivo preciso: quel 10% di poveri estremi di cui parliamo ogni giorno sul nostro quotidiano online non vota.
Non votano i senzatetto, grazie alla legge Renzi/Lupi che toglie i diritti civili a chi non ha una residenza ufficiale, compresi coloro che vivono in immobili occupati. Già non rivedere questa norma è una scelta precisa della politica che nessuno dei partecipanti alla corsa elettorale ha mai nemmeno citato nei suoi programmi.
Non votano la maggior parte degli anziani residenti nelle Rsa per motivi logistici che uno Stato civile dovrebbe risolvere. Mentre è uno Stato incivile quello che, come denunciato da Uneba, la voce del no profit delle Rsa, non si cura del caro bollette in strutture già penalizzate dalle norme fiscali e dalle modifiche al Codice del Terzo Settore che portano a un aumento di Ires, Imu e Irap per le fondazioni e associazioni.
Non votano molti disabili che non potranno raggiungere fisicamente il seggio. Lo denuncia L’Anffas, chiedendo al governo di garantire il supporto per accompagnare al seggio anche le persone con disabilità intellettive che hanno diritto di voto, che non è previsto dalla legge. E le persone con disabilità fisiche sanno le difficoltà a cui vanno incontro per vedere rispettato il loro diritto a raggiungere fisicamente il seggio. Ma nessuno ha risposto all’appello dell’Anffas.
I carcerati che conservano il diritto di voto per poterlo esercitare devono poi affrontare procedure a dir poco farraginose, lunghe e complesse. Inoltre non sono molti i detenuti informati sui loro diritti. Ma tanto sono cattivi e non importa niente a nessuno neanche di loro. Soprattutto non sono in numero sufficiente a costituire l’interesse dei partiti.
I fuori sede infine, coloro che studiano o lavorano in un luogo ma hanno la residenza in un altro, sono valutati in 4,9 milioni di elettori, il 10% del totale. Per loro non c’è nessuna esenzione dal lavoro o dalle sessioni d’esame per raggiungere la sede di voto. E gli sconti per il viaggio elettorale non sono a carico dello Stato ma delle compagnie ferroviarie o aeree e marittime o su gomma. Secondo l’Udu, Unione degli Universitari, gli studenti fuori sede in Italia sono più di 750 mila e la maggior parte di loro non andrà a votare alle prossime elezioni politiche.
Questi cittadini di serie C che abbiamo elencato, la B sarebbe già un progresso, sono dunque privati di un loro fondamentale diritto civile perchè socialmente inferiori per reddito e accesso ai servizi.
Non meritano quindi spazio nei programmi se non per generici impegni. Per questo motivo ci limitiamo a un generale “ripasso” ma senza preoccuparci ogni giorno di registrare posizioni che non toccano quasi per nulla la vita della parte più povera della popolazione italiana.
Come l’assegno unico e universale” del programma di Lega, FdI e Forza Italia, che riguarda solo le famiglie con figli a carico, senza specificare nè di quanto dovrebbe essere nè le modalità per accedervi.
Oppure dovremmo ritenere serie affermazioni, sempre dal programma del centrodestra, come “sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”. Quali misure? Non è importante perchè l’obiettivo è solo di cancellare quel poco che già c’è.
Il Pd propone almeno un salario minimo contrattuale legale di 9 euro lordi orari nei settori a più alta incidenza di povertà relativa e, sul reddito di cittadinanza, un nuovo meccanismo di integrazione pubblica alla retribuzione in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito. Quanto all’assegno unico si parla di un miglioramento ma anche qui senza specificare di quanto e come. Va però detto che al lungo elenco di problemi sociali elencati non corrisponde una puntuale proposta per ogni problema ma generici impegni.
Sinistra Italiana e Verdi alzano l’asticella del salario minimo a 10 euro l’ora, ma chiedono anche la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, pensioni minime a mille euro e uscita dal lavoro dai 62 anni. Propongono anche il superamento della legge Bossi/Fini per creare canali di migrazione legali e sicuri.
I 5 stelle, artefici del Reddito di Cittadinanza, di cui chiedono il rafforzamento, sono molto generici nelle loro proposte sociali. Salario minimo a nove euro lordi l’ora e di abolizione di stage e tirocini gratuiti. Però non dicono come.
Unione Popolare non vuole sentire le accuse che le vengono rivolte di essere utopica, anche se le sue proposte non specificano dove attingere i fondi. Neanche quelle degli altri, a onor del vero. Nella parte di programma dedicata alla povertà si parla di tassare gli extra profitti delle aziende energetiche per aiutare le famiglie, innalzare il reddito di cittadinanza da 780 a 1.000 euro al mese, costruire 500 mila alloggi popolari e aumentare le pensioni minime a 1.000 euro al mese.
Italia Viva e Azione non vogliono quantificare il salario minimo ma quando parlano di riformare il reddito di cittadinanza chiedono di togliere il sussidio dopo la prima offerta di lavoro congrua e un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione. Come produrre l’offerta di lavoro congrua non viene specificato.
+Europa propone che entro il 2030 lo 0,70% del reddito nazionale lordo vada a favore dello sviluppo e della lotta alla povertà, una generica riforma del Reddito di Cittadinanza e un inquietante “salario minimo mobile”, che tradotto significa una contrattazione tra le parti sociali, il che significa non intervenire sui rapporti di forza a favore delle imprese.
Il quadro è piuttosto desolante. La compilazione dei programmi riserva poche righe per ciascun partito alla povertà quasi un dovere compilativo più che una necessità sociale ed economica primaria, senza affrontare il problema strutturale del modello produttivo che genera disuguaglianza.
E’ in ogni caso evidente che l’unica partita concreta che si gioca in queste elezioni sul tema povertà, senza mai mettere le mani sull’evasione fiscale, a cui sembrano aver rinunciato quasi tutti, è il Reddito di Cittadinanza. Noi su questo ci rifacciamo alle proposte che L’Alleanza contro la Povertà ha illustrato in questo articolo.
Il nostro compito di giornalisti è di essere critici verso tutti e di far notare in questo caso la totale assenza di riferimenti di tutti i partiti al quadro internazionale. Chi ci legge conosce l’importanza che diamo a quanto avviene in tutto il mondo, quello già povero dei Paesi in via di Sviluppo e quello che si sta impoverendo rapidamente dell’occidente un tempo opulento.
Non affrontare in chiave mondiale il problema della povertà significa non voler vedere le ragioni della crisi italiana. Dell’agenda dell’Onu per il 2030, seppur ormai superata dai fatti, si trovano sporadici riferimenti di una riga. Perchè non ci crede nessuno e non ci credono perchè non intendono occuparsene.
