I socialdemocratici svedesi perdono le elezioni e cedono lo scettro del comando alla destra, quella non moderata alleata di quella ex moderata. Da diversi anni le elezioni in Svezia si risolvevano sul filo di lana di uno o due deputati di maggioranza per la sinistra stinta di quello che fu il partito di Olaf Palme.
Ho avuto la sfortuna di vivere in quel Paese per diverso tempo e quindi aver osservato in prima persona l’involuzione di quella nazione, che negli anni ’60 e ’70 era un modello che sembrava offrire una via d’uscita socialdemocratica alla crisi della sinistra europea.
A eliminare il gap della destra stavolta è stata la considerazione degli elettori, secondo cui la proposta politica dei “Democratici”, che vantano numerosi neonazisti dichiarati tra le loro fila, rifletteva più delle altre offerte politiche la possibilità di uscire dalla crisi economica di Stoccolma.
I socialdemocratici dal canto loro hanno aiutato molto la riabilitazione dei neofascisti svedesi. Intanto con una serie di premier non all’altezza della situazione e occupati più a rincorrere la destra sui suoi temi storici, come la lotta all’immigrazione, che a proporre alternative reali.
Prima di Magdalena Andersson a guidare il governo dal 2014 a novembre del 2021 era stato Stefan Löfven, un equilibrista delle norme parlamentari svedesi, rimasto in carica per anni con maggioranze di un deputato e nel 2018 anche con un voto di sfiducia tramite un governo provvisorio.
Nel frattempo la Svezia è precipitata in due crisi che hanno formato una tenaglia: i flussi migratori altissimi, con il 12,3% di popolazione immigrata, e una crisi economica che ha portato prima a un alto tasso di disoccupazione e poi al taglio dei sussidi statali.
Se nei centri abitati del sud del Paese, Malmö, Stoccolma, Goteborg, Uppsala e via dicendo, la disoccupazione è stata in qualche modo affrontata con i sussidi del welfare, affidati alla ricerca di nuovi lavori, la struttura fisica stessa della Svezia ha di fatto separato il nord dal centro politico.
Il nord della Svezia, a causa delle condizioni climatiche fredde, è formato da piccoli villaggi, in maggior parte vicini ai luoghi dell’industria del legno e delle pelli. Soltanto adesso l’industria sta investendo massicciamente in quell’area, costruendo abitazioni per i lavoratori che vi affluiscono.
Se le città hanno quindi potuto offrire un discreto ricambio lavorativo, il nord al contrario è rimasto isolato e perdere il lavoro là, senza quindi poter accedere a nuovi impieghi, ha significato in poco tempo escludere dal welfare una grande parte della popolazione.
Le politiche d’accoglienza verso gli immigrati hanno poi fatto il resto, diventando il capro espiatorio della disoccupazione locale e finendo sulla graticola per le risorse economiche dirottate dalla crisi interna alla creazione di posti di lavoro per i numerosi rifugiati.
Una ricetta classica su cui la destra xenofoba ha costruito in dieci anni la sua fortuna, portando la destra moderata su posizioni estreme, fino alla vittoria elettorale di domenica scorsa. La colpa della disoccupazione e delle risorse sempre minori del welfare sono state date all’immigrazione.
Se questo avveniva in maggior parte al nord, nelle città del centro e del sud si sono formate delle enclave etniche isolate dal resto della popolazione. L’aumento della criminalità, che è andato di pari passo con la crisi economica, è stato ritenuto colpa delle presenze straniere.
Inutile nascondersi dietro un dito, il problema c’è, anche se le cause sono diverse da quelle strumentalizzate dalla destra. Le politiche di accoglienza svedesi sono basate sulla separazione e non sulla inclusione dei nuovi arrivati.
A Stoccolma interi quartieri sono off limits anche per la polizia e auto amministrati dalle comunità straniere più forti. In Svezia il rispetto delle regole è formale e non sostanziale, l’approccio è esclusivamente economico/quantitativo, ma un totale fallimento dal punto di vista culturale.
La sinistra svedese ha passato più tempo a interrogarsi se eliminare maschile e femminile dalla lingua scritta e parlata, lasciando solo il neutro, che a chiedersi come affrontare la crisi economica e gestire l’immigrazione. La destra ha raccolto il malcontento popolare e ha vinto le elezioni.
La politica estera svedese nel frattempo si è spostata da un ruolo sostanzialmente neutrale tra Ovest ed Est , a un’adesione incondizionata alle politiche degli Usa. Da molto prima del processo di adesione alla Nato. La Svezia ha giocato un ruolo cruciale, con le false accuse di stupro a Julian Assange, nel permettere l’arresto del media attivista a Londra.
Alla fine i socialdemocratici svedesi hanno pagato il prezzo della mancanza di ricette alternative alla destra. Gli elettori hanno preferito l’originale alla copia sbiadita. Ci sono molte analogie con la situazione italiana per quanto riguarda l’incapacità di offrire alternative alla crisi economica.
In Svezia, come nel resto d’Europa, la sinistra utilizza l’ipocrisia per deplorare politiche di destra xenofobe e liberiste e poi praticarle una volta al governo. La sua sconfitta è quindi in prevalenza culturale.
Pur contenendo in qualche modo i problemi economici i socialdemocratici non sono riusciti o non hanno voluto tentare alternative al modello economico dominante.
Essendo un Paese in cui i governi degli ultimi quindici anni si sono basati su maggioranze di uno o due deputati, non si può escludere che anche nella necessità di formare governi di unità nazionale la Svezia finisca per assomigliare sempre di più all’Italia.
