Anche negli Stati Uniti ogni giorno aumenta il numero di persone che si ritrovano senza casa, d’improvviso, per aver perso il lavoro o anche soltanto a causa di un divorzio in cui l’abitazione è rimasta all’altro coniuge. Talvolta la perdita di lavoro e casa vanno di pari passo. Ecco quindi che nel cuore di molte città statunitensi sono sorte numerose tendopoli, accampamenti, interventi di prima necessità, che hanno portato molte conseguenze sul piano sociale. A cominciare dal conflitto con i proprietari di case. L’aumento di criminalità che segue spesso la nascita di accampamenti ha portato anche molti leader progressisti a ritenere che l’unica soluzione siano gli interventi della polizia, che vedono i senzatetto portati in prigione o in altri centri istituzionali.
Il caso di Seattle è quello di una risposta in cui la povertà non è stata affrontata come questione di decoro o di ordine pubblico, dimostrando che la collaborazione tra proprietari, gruppi di quartiere, polizia, avvocati e organizzazioni non profit sta combattendo efficacemente la percezioni errate che la politica cerca di dare alla questione dei senzatetto. All’inizio del 2020, allo scoppio della pandemia da covid, le autorità hanno svuotato le carceri e bloccato i nuovi arresti per reati minori. Hanno utilizzato uno strumento che si chiama “Law Enforcement Assisted Diversion”, utilizzato ormai in 80 giurisdizioni negli Usa, ideato dall’avvocato Lisa Daugaard.
Invece di reincarcerare i senzatetto, in genere già con molti arresti per reati minori alle spalle, i dipartimenti di polizia li indirizzano ai servizi gestiti in cooperazione da difensori pro bono, polizia e pubblici ministeri che cercano soluzioni individuali mettendo da parte i metodi giuridici tradizionali. La filosofia del programma è la riduzione del danno e oltre a garantire un riparo agisce sul miglioramento della salute, piuttosto che sull’astinenza da droghe o altri comportamenti rischiosi.

Una ricerca del 2017 dall’Università di Washington ha rilevato che dove era stato adottato questo approccio si era verificata una riduzione del 39% delle incriminazioni per chi partecipava al programma e un aumento dell’89% della probabilità di trovare una sistemazione definitiva. A Seattle il’applicazione del programma ha dato risultati ancora migliori al culmine della pandemia. Lisa Daugaard ha convinto le autorità a pagare i proprietari di alberghi, disperati per la crisi, per ospitare clienti non tradizionali. Grazie ai fondi del governo per fronteggiare il virus è stato creato il programma JustCare. I membri del personale di JustCare, rispondono al posto della polizia alle chiamate che provengono dagli accampamenti di senzatetto. Dopo aver instaurato con loro un rapporto di fiducia li trasferiscono in un alloggio senza rigorosi requisiti di astinenza, ripulendo il luogo dell’accampamento dalle situazioni più problematiche anche per l’ordine pubblico. La polizia era solo l’ultima risorsa a cui ricorrere.
A Seattle lentamente anche i ristoratori che non potevano riaprire a causa degli accampamenti dinanzi ai loro locali, grazie al programma JustCare, hanno visto svuotare le tendopoli e la loro attività tornare alla normalità. Per qualche ospite delle tendopoli poi assistito dal programma è stato possibile anche diventare parte stessa del programma, aiutando a sua volta. Il lavoro inizia con offerte senza vincoli, cibo, acqua e aghi puliti. Le visite regolari aiutano a dimostrare affidabilità e disinnescare la paura della coercizione. I conflitti nelle tendopoli sorgono su qualsiasi cosa, dall’uso di droghe alla combustione di oggetti per riscaldarsi. Gli operatori neutralizzano le situazioni di tensione con umorismo e compassione, comprendendo che questi comportamenti sono causati da bisogni fondamentali come la fame, la sete e la stanchezza.
In alcuni casi è accaduto che una volta svuotato l’accampamento con grande fatica questo veniva immediatamente riempito da altre persone. Grazie a un patto fatto con i residenti, le cui abitazioni venivano circondate dalle tende e le strade intorno utilizzate come bagni a cielo aperto, i proprietari di case hanno allestito tavoli e sedie per pranzi all’aperto, per rioccupare lo spazio, come suggerito da JustCare. Progressivamente residenti e turisti hanno ripreso possesso del territorio usando regolarmente le strutture, che a quel punto sono poco attraenti come campeggio.
Tra l’autunno del 2020 e la scorsa primavera, JustCare ha chiuso 14 accampamenti e collocato oltre 400 persone in hotel e altri alloggi. Delle 135 persone che non avevano trovato una casa permanente entro marzo, circa due terzi lo hanno fatto successivamente e il 21% di loro sta per ottenere i documenti per l’accesso all’alloggio di cui hanno bisogno. Secondo l’ex sindaco di Seattle JustCare costa 127 mila dollari l’anno per persona ospitata. JustCare contesta questa stima, sostenendo che i suoi costi effettivi per persona sono circa la metà di quelli o meno, e sono paragonabili al costo annuale per la carcerazione a cui si aggiungono i costi per l’arresto. Ma la riuscita di JustCare è dovuta principalmente alla collaborazione tra categorie che normalmente si oppongono a questi aiuti, come imprese e proprietari di case.
“La sfiducia reciproca tende a diminuire e si innesca l’innovazione. Anche gli ostacoli aziendali e burocratici possono scomparire quando le persone che si conoscono possono semplicemente alzare il telefono e risolvere il problema”, ha commentato l’ideatrice del programma Lisa Daugaard.
