venerdì, Settembre 13, 2024
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L’insopportabile ipocrisia sull’odio nei social

Dopo la strage di Buffalo, torna sotto accusa il ruolo dei social media nella diffusione delle idee degli estremisti statunitensi dell’Alt-Right e dei suprematisti bianchi. E’ una questione non nuova ma estremamente attuale, molti pensano che la soluzione sia la censura dei social o almeno l’imposizione di norme che ne regolino i contenuti. Ma se da una parte è come tentare di svuotare il mare con un cucchiaino, resta da vedere se il problema siano davvero i social, cioè il veicolo del messaggio, o chi occupa quello spazio per inviare i messaggi, gli ideologi dell’odio che si concretizza in stragi e altre forme di attacco a gruppi sociali.

Le indagini hanno rivelato che Payton Gendron, lo stragista di Buffalo, aveva consultato in rete altri squinternati come lui su diversi social, un gruppo chiamato Plate Land sulla piattaforma Discord, e pubblicato il suo manifesto “politico” sulla bacheca anonima 4chan. Durante l’eccidio tramite una telecamera GoPro, aveva poi mandato in live streaming le sue gesta sulla piattaforma Twitch (proprietà di Amazon), di solito utilizzata dagli appassionati di videogiochi, piattaforma che, va detto, dopo due minuti ha interrotto la trasmissione, anche se ormai quelle immagini sono state riproposte su Twitter da molti altri utenti. Non è la prima volta che accade. Brenton Tarrant nel marzo 2019 aveva trasmesso per una ventina di minuti su facebook la strage che stava compiendo in due moschee di Christchurch, Nuova Zelanda, 49 morti e 48 feriti. Altra strage e altra piattaforma per la diretta, Twitch in questo caso, per il tedesco Stephan Balliet, autore della strage alla sinagoga di Halle. Sempre nel 2019 Patrick Crusius, autore a El Paso di un massacro con 22 morti e 24 feriti, aveva scelto il forum 8chan per pubblicare il suo delirante manifesto politico.

La piattaforma Discord, basata su comunicazioni istantanee di testo e vocali, 350 milioni di utenti registrati e oltre 150 milioni di utenti attivi, è finita nel mirino delle polemiche perchè al suo interno si sono radunati vari gruppi di razzisti, antisemiti e suprematisti bianchi, guadagnandosi molta popolarità tra i sostenitori dell’alt-right statunitense, la nuova destra estremista Usa, ospitata anche all’interno del partito repubblicano. Discord, grazie alla possibilità di scrivere sotto pseudonimo, offre privacy e discrezione ai suoi utenti, che restano anonimi e liberi di veicolare i propri messaggi di odio. La piattaforma, nonostante sostenga di aver chiuso circa duemila gruppi di questo tipo, resta lo strumento preferito dai suprematisti bianchi. Payton Gendron ha utilizzato un server Discord privato come una sorta di diario per molte settimane precedenti l’attacco di Buffalo. Circa 30 minuti prima della sparatoria, diversi utenti sono stati invitati da Gendron a visualizzare il server e leggere i messaggi. I messaggi sono stati successivamente pubblicati su 4chan. Il server è stato cancellato da Discord soltanto dopo la sparatoria.

Se è possibile moderare gruppi che agiscono su comunicazioni testuali i video in live streaming sono invece difficili da moderare, perché devono essere individuati e rimossi in tempo reale. Se YouTube richiede agli utenti di avere un seguito di almeno cinquanta persone prima di poter trasmettere in live streaming, Twitch è invece progettato per consentire a chiunque di trasmettere immediatamente. Discord invece è nata proprio per veicolare contenuti non in chiaro, chat private, difficili quindi da monitorare finchè non avvengono episodi come quello di Buffalo. Ma è davvero possibile fa restare all’esterno dei social network i contenuti xenofobi e di estrema destra? Spesso, una volta chiusa una chat o un gruppo razzista, questo si sposta semplicemente su un’altra piattaforma. Sta di fatto che le tematiche dei nuovi suprematisti bianchi da argomento marginale dell’informazione, questo denunciano gli esperti, si sono trasferite a pieno titolo anche sui principali media.

Il cosiddetto “contagio emotivo”, come viene chiamato il passaggio non consapevole di emozioni da un soggetto all’altro, che tramettendo agli utenti l’emozione di altri, senza una mediazione cognitiva, abbassa le difese critiche, riguarda nella quasi totalità dei casi soggetti o gruppi sociali già in cerca di conferme alle proprie idee. Questo non toglie che in ogni caso la continua proposizione di violenze toglie il valore di eccezionalità alle stesse e abitua l’utente a essere insensibile verso atti e idee esecrabili. L’alternativa però, interventi pesanti delle autorità per limitare gli spazi nei social network, finisce sempre per scontrarsi contro il diritto fondamentale di tutti alla libertà di espressione. Ciò che impedirebbe oggi a un gruppo di nazisti di propugnare i propri deliri potrebbe rivolgersi domani contro gruppi di legittimo dissenso contro il governo.

Il problema vero è che oggi a sostenere il diritto alla libertà d’espressione sono per la maggior parte i leader della destra più o meno direttamente politica, a cominciare da Elon Musk, recente acquisitore di Twitter. Il loro punto di forza è che nella rete ci siamo tutti, proprio tutti, e censurare uno può significare censurare tutti. Un modo per affrontare la questione può essere però quello di verificare il rapporto tra la virtualità dei social e la materialità della vita. Se esistono leggi che consentono a persone a rischio l’acquisto, la detenzione e l’utilizzo di armi usate per le stragi dai suprematisti, queste leggi non sono state elaborate dai social ma dalle istituzioni degli Stati Uniti. E’ quindi paradossale, e anche ipocrita, intervenire sui messaggi d’odio senza togliere di mano agli assassini le armi per compiere i loro delitti. Nessuna intelligenza artificiale di controllo sui social può porre un argine alla diffusione dell’odio razziale, se non è programmata da un’intelligenza umana che interrompa concretamente la possibilità di tramutare l’odio virtuale in omicidi materiali.

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