Il Myanmar ha conquistato un drammatico primato nel 2023: con oltre 1.000 civili uccisi o feriti da mine antiuomo, il paese è oggi quello con il più alto numero di vittime al mondo, superando persino Siria e Ucraina.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, le mine posizionate dall’esercito birmano non solo mietono vittime indiscriminate, ma sono utilizzate anche come strumento di controllo e oppressione, con i civili obbligati a camminare su campi minati per “aprire la strada” ai militari.
Questo dato, però, non è un caso isolato: il Myanmar rappresenta solo la punta dell’iceberg di una crisi globale che coinvolge conflitti recenti e irrisolti, dall’Ucraina al Medio Oriente, lasciando dietro di sé un’eredità di pericoli che non si esauriscono con la fine delle guerre.
Ucraina: un campo minato in Europa
La guerra in Ucraina ha trasformato vaste aree del paese in trappole mortali per i civili. Con 608 vittime registrate nel 2023, secondo la Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine (ICBL), l’Ucraina è ora uno dei territori più contaminati al mondo. Entrambe le parti in conflitto hanno utilizzato mine antiuomo e anticarro, rendendo intere regioni inaccessibili e pericolose per decenni a venire.
La recente decisione degli Stati Uniti di fornire all’Ucraina mine “non persistenti” – progettate per autodistruggersi – ha sollevato dubbi tra gli esperti. Sebbene meno pericolose a lungo termine, queste mine richiedono complesse operazioni di bonifica e non sempre funzionano come previsto, lasciando aperta la possibilità di rischi futuri per i civili.
Medio Oriente: una regione segnata dal rischio eterno
In Siria, la crisi delle mine è altrettanto devastante: 834 vittime nel 2023, posizionandola tra le nazioni più colpite. Lo Yemen segue con circa 500 vittime, un numero che riflette le conseguenze di anni di conflitti interni e bombardamenti indiscriminati.
Le operazioni di sminamento in Medio Oriente sono spesso ostacolate dall’instabilità politica e dalla mancanza di risorse, lasciando milioni di persone esposte. Mine e ordigni inesplosi sono una presenza costante nei campi, nei villaggi e persino nelle aree urbane, limitando l’accesso alle terre agricole e impedendo la ricostruzione.
Una minaccia globale persistente
A livello mondiale, nel 2023 sono state registrate 5.757 vittime di mine antiuomo e ordigni inesplosi, con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. Di queste, l’84% erano civili, e un terzo bambini. Almeno 58 paesi e territori, tra cui Afghanistan, Colombia e Mali, continuano a essere contaminati.
La bonifica delle mine rimane una sfida complessa: nel 2023, sono stati sminati oltre 280 chilometri quadrati di territorio, un’area equivalente alla superficie del Regno Unito. Tuttavia, a questo ritmo, serviranno decenni per rendere sicuri i territori ancora a rischio.
Il passato che non passa: le mine delle guerre di ieri
Non sono solo i conflitti attuali a causare vittime. Mine posizionate decenni fa continuano a uccidere e ferire in paesi come Cambogia, Bosnia ed Eritrea. Ogni mina rimossa richiede ore di lavoro e risorse significative, mentre il costo di produzione di un singolo ordigno è irrisorio. Le comunità rurali, che dipendono dalla terra per sopravvivere, sono spesso le più colpite, con gravi conseguenze economiche e sociali.
L’industria delle mine: chi guadagna dal pericolo
Nonostante il Trattato di Ottawa del 1997, che vieta la produzione, l’uso e la vendita di mine antiuomo, paesi come Stati Uniti, Russia e Cina continuano a produrle. L’industria globale delle armi non sembra rallentare: le mine restano un prodotto strategico per i conflitti moderni.
L’Italia, che ha aderito al Trattato, ha smesso di produrre mine antiuomo, ma il ruolo delle sue aziende nell’industria delle armi è significativo. Aziende come Leonardo partecipano alla produzione di tecnologie militari avanzate, alimentando indirettamente conflitti dove le mine continuano a essere utilizzate.
Un impegno globale necessario
Le mine antiuomo sono un problema globale che non si esaurisce con la fine dei conflitti. Ogni nuovo ordigno posizionato prolunga il pericolo per generazioni. La comunità internazionale deve intensificare gli sforzi per bonificare i territori contaminati, vietare definitivamente la produzione e affrontare le radici economiche di questa tragedia.
Il Myanmar, l’Ucraina, il Medio Oriente e molti altri paesi ci ricordano che l’eredità di queste armi è un peso che non possiamo permetterci di ignorare.