La capitale del Pakistan è al centro di violenti scontri tra sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan e le forze di sicurezza, con l’esercito schierato per contenere la situazione. Le autorità hanno autorizzato l’uso della forza letale, mentre le proteste continuano a infiammare il paese.
Secondo il governo, almeno sei membri delle forze di sicurezza sono stati uccisi durante gli scontri, inclusi quattro paramilitari investiti da un veicolo dei manifestanti. Il partito di Khan, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), ha negato queste accuse. Intanto, la polizia ha risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma, cercando di arginare i manifestanti che si dirigevano verso una piazza vicina agli edifici governativi.
Imran Khan, incarcerato da oltre un anno per accuse di corruzione che i suoi sostenitori definiscono politicamente motivate, è diventato il simbolo di un’opposizione sempre più agguerrita contro il governo sostenuto dai militari. Nonostante la repressione, il suo partito è riuscito a mobilitare migliaia di persone che lunedì hanno sfondato i blocchi stradali per entrare a Islamabad.
Le tensioni sono ulteriormente alimentate dal coinvolgimento della moglie di Khan, Bushra Bibi, che sta guidando le proteste. Rivolgendosi ai manifestanti, ha dichiarato che non lasceranno la capitale finché Khan non sarà liberato. “Non torneremo indietro senza il nostro leader”, ha affermato durante un comizio.
Il Primo Ministro Shehbaz Sharif ha condannato le violenze, accusando i manifestanti di attacchi deliberati contro le forze di sicurezza. “Il Pakistan non può permettersi il caos. La violenza per scopi politici è inaccettabile”, ha detto in una nota ufficiale.
Le proteste arrivano in un contesto di accuse di brogli elettorali e cambiamenti legislativi controversi, che secondo il PTI mirano a escludere Khan dalla scena politica. Nonostante le misure di sicurezza straordinarie, compresa la sospensione dei servizi di telecomunicazione in alcune aree, i manifestanti sembrano determinati a continuare la loro battaglia contro quello che definiscono un complotto per sopprimere la democrazia.
La situazione rimane critica, con la città in lockdown e gli scontri che rischiano di intensificarsi, mettendo ulteriormente sotto pressione un paese già segnato da crisi politiche e sociali.
Le violenze in corso a Islamabad non sono un fenomeno isolato, ma il sintomo di una crisi più profonda che coinvolge sia l’economia che la politica del Pakistan. L’attuale governo guidato da Shehbaz Sharif si trova ad affrontare una situazione economica drammatica, caratterizzata da un’inflazione galoppante, una crescente disoccupazione e una crisi valutaria che ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie.
Il debito estero, ormai insostenibile, costringe il paese a continue negoziazioni con il Fondo Monetario Internazionale, alimentando il malcontento popolare.
Sul fronte politico, il governo è accusato di aver instaurato un clima repressivo, con arresti mirati contro i leader dell’opposizione e restrizioni alle libertà civili. Le recenti modifiche legislative, che riducono l’indipendenza della magistratura, sono state criticate sia a livello interno che internazionale, aggravando la percezione di una deriva autoritaria.
In questo contesto, l’incapacità del governo di rispondere alle istanze di una popolazione stremata alimenta le proteste e rafforza il carisma di figure come Imran Khan, che rappresentano per molti l’unica alternativa al sistema attuale. Tuttavia, la frammentazione politica e il ruolo pervasivo dell’esercito rendono improbabile una risoluzione rapida delle tensioni, lasciando il paese in una situazione di pericolosa instabilità.