Donald Trump non perde tempo: ha confermato che dichiarerà lo stato di emergenza nazionale per dare il via a un programma di deportazioni senza precedenti. Obiettivo? Espellere milioni di migranti irregolari dagli Stati Uniti. Lo ha ribadito con la consueta retorica da comizio, parlando di “criminali feroci” da “cacciare a calci fuori dal nostro Paese”.
Ma mentre Trump agita la bandiera della sicurezza nazionale, la realtà racconta un’altra storia: i migranti non solo non “rubano” nulla, ma sono una colonna portante dell’economia americana. Rimuoverli significherebbe paralizzare settori chiave e mettere a rischio il futuro del Paese.
Quanto costerà questa follia?
Secondo l’American Immigration Council, deportare 11 milioni di persone costerà miliardi di dollari ogni anno. I dettagli logistici parlano chiaro: servono autobus, aerei, agenti, e persino il supporto dell’esercito. Tom Homan, lo “zar di frontiera” nominato da Trump, ha ammesso che il piano è pieno di “se e quando”. Ma i costi non sono solo economici.
Un colpo all’economia
Gli immigrati rappresentano il 17% della forza lavoro americana e sono essenziali in settori come l’agricoltura, la costruzione e i servizi. Senza di loro, intere filiere produttive collasserebbero. Solo l’agricoltura rischia di fermarsi, come ha sottolineato Manuel Cunha Jr. della Nisei Farmers League: “Se togliete i lavoratori migranti, smettiamo di mangiare.”
Le esportazioni agricole americane, che valgono oltre 150 miliardi di dollari l’anno, dipendono in larga misura dal lavoro dei migranti. Negli stati della California, del Texas e della Florida, più del 60% dei lavoratori agricoli sono immigrati. Eliminare questa forza lavoro significa un’impennata dei costi alimentari e il rischio di scaffali vuoti nei supermercati.
E non si parla solo di cibo: gli immigrati contribuiscono al PIL americano con circa 2 trilioni di dollari all’anno e pagano miliardi di dollari in tasse. Eliminare questa forza lavoro significa perdere entrate fiscali cruciali e aggravare la crisi di manodopera in settori già sotto pressione, come l’edilizia e i servizi sanitari.
Innovazione e imprenditorialità a rischio
Non dimentichiamo il contributo degli immigrati all’innovazione: più della metà delle startup americane valutate oltre un miliardo di dollari sono state fondate da migranti. Senza di loro, molte aziende tecnologiche e scientifiche, che sono il motore dell’economia statunitense, non sarebbero mai nate. A cominciare da quelle dell’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, grande finanziatore di Trump.
Relazioni internazionali e diritti civili
Dietro ai numeri ci sono persone: famiglie, lavoratori, comunità che verrebbero distrutte da un piano che usa parole come “sicurezza” per nascondere il suo carattere disumano. Deportare milioni di persone non risolve nulla, anzi, crea instabilità sociale ed economica.
E poi c’è il danno irreparabile alle relazioni internazionali. Trump intende utilizzare risorse militari e riattivare agenti in pensione per sostenere il programma. Ma come reagiranno i Paesi di origine dei migranti? Messico, El Salvador e Guatemala hanno già criticato aspramente questa politica, accusando gli Stati Uniti di alimentare divisioni regionali.
Trump fa finta d’ignorare la realtà
L’America non è stata “invasa”. È stata costruita da migranti che hanno portato innovazione, lavoro e crescita. Espellere milioni di persone per una promessa elettorale è un errore gigantesco che non tiene conto delle conseguenze reali.
Non servono “bivi” o “grandi scelte”: basta guardare i dati, ascoltare le storie e capire che l’immigrazione non è il problema, ma una parte fondamentale della soluzione.