sabato, Settembre 23, 2023
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Roba da matti!

di Fulvio Picoco da Transform Italia*

Qualche giorno fa è stata posta la prima pietra per la costruzione di una “cittadella psichiatrica”, alla periferia di Nairobi (Kenia), alla presenza del Ministro degli Esteri Italiano Di Maio. Il progetto prevede che la cittadella potrà ospitare fino a 600 pazienti ed è promosso tra gli altri dal Gruppo Ospedaliero S. Donato (primo gruppo ospedaliero privato italiano). Questo nuovo polo per la cura delle malattie psichiatriche diventerà punto di riferimento per l’Africa centro orientale, lì dove questo tipo di patologie si stanno sviluppando per una serie di motivi anche di tipo sociale ed ambientale, dai cambiamenti legati alla urbanizzazione di molte aree, alle problematiche del lavoro, alla povertà, alle crisi alimentari, alle guerre, al desiderio frustrato di trovare territori ospitali, emigrando.

La risposta che si dà al disagio mentale è di tipo manicomiale, non solo per il numero di persone che si intende accogliere nella cittadella, ma anche per il tipo di “cura” fondamentalmente asilare.

Al di là della strategia affaristica del privato sanitario in ambito internazionale, che senso può avere la presenza di un Ministro del governo Italiano, che sembra dare un significato simbolico al progetto? Perché non esportare in Africa il modello di cura territoriale e di salute mentale, dalla prevenzione alla cura in acuto, alla prevenzione secondaria, alla riabilitazione e al recupero delle abilità individuali e sociali, alla costruzione della rete di sostegno alle persone affette da patologia psichiatrica e alle famiglie?

Proprio in questo periodo in cui nel nostro paese vi sono segnali della fine della spinta di Basaglia e della legge 180/78!

In giro per l’ITALIA numerosi i Dipartimenti di Salute Mentale (la legge 180/78, ha cercato di disciplinare il passaggio dal “manicomio” al socio sanitario e alla “salute mentale”, ma trattandosi di una Legge quadro ogni Regione ha prodotto leggi di applicazione delle norme ed articoli sulla psichiatria in modo diversificato, cosa che sostanzialmente hanno modificato i progetti-obiettivo “Tutela della salute mentale” 1994-1996 e 1998.2000, che pure istituivano la organizzazione dipartimentale) in cui depauperate sono le dotazioni organiche (mancano Medici, Psicologi, Terapisti della Riabilitazione psichiatrica, Infermieri, Assistenti Sociali, OSS, ecc.) che dovrebbero essere adeguate a svolgere il delicato e difficile compito della cura e presa in carico delle persone che soffrono di patologia mentale, in grado di fare “salute mentale” su tutto il territorio, che finora si è retto sul sacrificio, la buona volontà, l’impegno professionale degli operatori residui dei servizi.

Dov’è l’approccio unitario alla persona che richiede prima di tutto un processo di integrazione interno al DSM, tra le sue varie parti costituenti, in particolare lungo l’asse territorio-ospedale-territorio, ma anche nell’area della riabilitazione tra CSM e Strutture riabilitative?

Quali risposte sono state date alle recenti morti di persone contenute a letto, anche in reparti ospedalieri di territori che sono stati pilota nella realizzazione della progettualità di Basaglia?

by NaustvikPhotography.com

Dove sono i progetti di valutazione della qualità assistenziale?

Dove la formazione degli operatori?

Quali le risposte ad altri segnali di voglia di tornare al passato, come ad esempio le modifiche apportate alla Consulta Regionale per la Salute Mentale della regione Lazio che viene deprivata di significato con la legge Regionale del 17 giugno 2022 n.10, art.19?

Che dire poi della riabilitazione psichiatrica e delle varie strutture create? Certamente le sr ospitano i pazienti che in passato venivano ricoverati negli ospedali psichiatrici, tendenti alla cronicizzazione, con maggiori disabilità, con disturbi psicopatologici gravi, con patologie e disabilità insorte in giovane età, non coniugati, che non svolgono alcun lavoro, che percepiscono pensione di invalidità civile, con comportamenti aggressivi e disturbanti, le cui famiglie per i loro congiunti desiderano una sistemazione che preveda maggiore supervisione clinica e assistenziale che porta a iperprotezione e scarsa autonomizzazione. Vi è una dimissibilità molto bassa, soprattutto dalle strutture a più elevata intensità assistenziale ed i fattori che intervengono sono molteplici:

si dà priorità alle attività interne (gestione di sé, della casa, dei laboratori);
è difficile la realizzazione di attività esterne;
si raggiungono abilità relazionali e sociali in grandi gruppi;
si hanno quindi scarse possibilità di reinserimento sociale in contesto non protetto e dubbi sul mantenimento delle abilità, anche in famiglia.

Costi elevati della “RIABILITAZIONE” psichiatrica, non determinazione del fabbisogno, basso turnover per difficoltà alla dimissione, con le stesse strutture che diventavano case per la vita (ricoveri ultra decennali), determinano un elevato rischio di NEOISTITUZIONALIZZAZIONE.

Che fare per favorire un minor bisogno di strutture riabilitative residenziali h24 e favorire la dimissibilità da queste?

Ovviamente potenziare le strutture territoriali, forse, equivarrebbe a ridurre i posti letto nelle SR (De Girolamo et al.-PROGRES-2002) attraverso una presa in carico dei casi gravi “forte”, la fattibilità di Progetti Riabilitativi Domiciliari, incentivando la semiresidenzialità o forme di residenzialità meno protette, ecc.;
Selezionare gli utenti secondo criteri di inclusione-esclusione attenti ad evitare ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza.
Selezionare gruppi omogenei di pazienti.
Monitorare accuratamente il decorso clinico.
Individuare indicatori predittivi di dimissibilita’
Trattamenti intensivi erogati da personale opportunamente formato (con costi adeguati)
La “RETE” della riabilitazione psichiatrica consente oggi di raggiungere l’obiettivo dei trattamenti riabilitativi che (DGR 45/2015) “non è solo la remissione dei sintomi, ma soprattutto l’inclusione sociale, l’inserimento lavorativo e il recupero di una piena cittadinanza dei pazienti e consentire ad ogni persona di avere relazioni sociali ed affettive, l’abitare, il lavorare”?

Ma dov’è l’interesse politico a raggiungere tali obiettivi? Dove i fondi? Dove il personale, formato al lavoro territoriale (anche i Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura ospedalieri sono strutture territoriali)?

Sembra in effetti esserci un rischio meno chiaro, più sottile e strisciante, confermato da segnali, non dico di nostalgia del modello manicomiale, ma di allontanamento dal modello Basagliano e dalla legge 180/78, oltre che dai progetti Obiettivo Salute Mentale, che è quello di tenere dentro il sistema della salute mentale le persone, protette sì, ma in un insieme di “scatole cinesi” che non danno la libertà.

Il processo di chiusura dei manicomi non significa la fine di tutti i contenitori della sofferenza e dell’esclusione ed il rischio della neoistituzionalizzazione ormai appare sempre più reale. Esistono tutti gli elementi per uno stato di allarme e per chiedere alle istituzioni governative interventi chiari e di salvaguardia ed incentivazione della cultura e delle prassi operative previste dalla legge Basaglia.

Dott. Fulvio Picoco, Psichiatra, Rifondazione Comunista Brindisi.

*articolo in origine pubblicato su https://transform-italia.it/roba-da-matti/

by That Geek DouG

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