Le proteste contro la manovra del governo Meloni non si fermano. Sanità, enti locali e ricerca guidano una mobilitazione che sta assumendo toni sempre più accesi, con opposizioni politiche, sindacati e associazioni pronte a dare battaglia per quello che definiscono un “attacco inaccettabile” ai servizi pubblici essenziali.
La sanità al centro dello scontro
Il tema più caldo resta la sanità. La premier Giorgia Meloni respinge le critiche, invitando gli oppositori a “usare la calcolatrice” per verificare l’aumento dei fondi. Dal palco di Genova, ribadisce che mai un governo ha destinato tanto alla sanità quanto il suo esecutivo. Tuttavia, secondo la Fondazione Gimbe, i numeri raccontano un’altra storia: l’incremento reale del Fondo sanitario nazionale per il 2025 sarebbe di soli 1,3 miliardi, rispetto ai 3,5 miliardi annunciati dal governo.
Gli effetti di questi fondi insufficienti si scaricano sulle Regioni, che secondo il presidente del Gimbe, Nino Cartabellotta, dovranno “razionalizzare ulteriormente la spesa, tagliare servizi o aumentare l’addizionale Irpef”. Un allarme condiviso dagli assessori regionali alla sanità e da Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici, che denuncia aumenti salariali irrisori per i sanitari: “appena 17 euro al mese”.
La risposta politica
Dal fronte delle opposizioni, Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, annuncia un tour nei luoghi di cura per denunciare “lo smantellamento della sanità pubblica”. Ma la stessa Schlein riconosce che il definanziamento del sistema sanitario ha radici lontane: tra il 2010 e il 2020, i tagli alla sanità pubblica hanno toccato i 37 miliardi di euro, coinvolgendo governi di ogni colore politico. Nel 2023, un’indagine dell’Università Bocconi ha evidenziato che regioni come Lazio e Lombardia, pur governate da schieramenti opposti, dedicano oltre il 30% della spesa sanitaria al settore privato, ben al di sopra della media nazionale del 22%.
Il peso delle scelte passate
La riduzione dei posti letto ospedalieri è un altro esempio di un problema che si trascina da decenni: dai 311.000 del 1998 ai 191.000 del 2017. In rapporto alla popolazione, i posti letto per mille abitanti sono scesi da 5,8 nel 1998 a 3,6 nel 2017, molto al di sotto della media europea. Anche il decreto ministeriale 70 del 2015, emanato sotto il governo Renzi, ha contribuito a questa riduzione, fissando il tetto a 3,7 posti letto ogni mille abitanti.
Le proposte e le prospettive
Le opposizioni propongono ora un aumento di 5,5 miliardi annui per la sanità, da finanziare con tagli ai sussidi ambientalmente dannosi. Tuttavia, il rapporto Crea-Sanità stima che servirebbero almeno 10 miliardi annui per riportare il sistema a livelli medi europei. La proposta del PD di destinare il 7,5% del PIL alla sanità, simile al periodo pandemico, appare difficile da sostenere senza un lavoro di razionalizzazione delle agevolazioni fiscali.
Il nodo politico del governo
All’interno della maggioranza, i segnali sono contraddittori. Mentre Meloni rivendica lo sforzo del governo, la Lega critica le misure sulle pensioni e punta ad alzare la soglia della flat tax per gli autonomi. Forza Italia, invece, preme per ridurre l’aliquota IRPEF del 35% e ampliare gli scaglioni di reddito. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha confermato che ogni eventuale risorsa aggiuntiva sarà destinata alla riduzione della pressione fiscale, lasciando poco spazio a una revisione dei fondi per i servizi pubblici.
Sanità e consenso politico
Il tema sanitario ha già dimostrato di influenzare il consenso elettorale. Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, ha sottolineato come i tagli alla sanità siano stati centrali nella sconfitta del centrodestra alle regionali in Emilia-Romagna e Umbria. “La sanità è il punto di maggiore sofferenza”, ha dichiarato, invitando a passare dalle denunce a una battaglia concreta per ottenere risorse.
Uno sciopero generale all’orizzonte
Intanto, CGIL e UIL stanno valutando uno sciopero generale contro la manovra, mentre il malcontento cresce anche tra i ricercatori universitari, colpiti dal blocco del turnover al 75%. Il rischio è che la mobilitazione contro i tagli si trasformi in un fronte ampio, capace di mettere sotto pressione un governo già alle prese con difficili equilibri interni e un contesto economico incerto.