Nell’approssimarsi dell’inverno, che induce a un buio più diffuso e a malinconie varie, mentre da oltre oceano all’Europa avanza una destra estrema che ritiene di poter fare quello che vuole e anche con il voto popolare, da Umbria ed Emilia Romagna arrivano due buone notizie.
Diciamo subito che il problema principale evidenziato dalle elezioni concluse ieri nelle due regioni è, come di consueto, che sono andati a votare meno della metà degli aventi diritto. E questo, qualsiasi considerazione si possa fare successivamente, è in realtà il vero nodo centrale della politica italiana, che registra una tendenza all’astensionismo di gran lunga superiore alla tendenza generale europea.
Sulla considerazione che l’offerta elettorale di questi ultimi anni non offre grandi differenze di programmi tra centrodestra e centrosinistra si può facilmente concordare, anche se sarebbe un’operazione intellettualmente disonesta affermare la completa identità di programmi e persone tra i due schieramenti.
Perchè nella forma, che in politica diventa sostanza, dell’attuazione dei programmi del centrodestra, si è fatta strada, fino al punto di divenire un marchio di fabbrica dell’estrema destra 2.0, una modalità di bullismo istituzionale verso la magistratura e verso il Capo dello Stato e di bullismo sociale verso le fasce più deboli della popolazione.
Un bullismo scandito da insulti, urla, epiteti e sciacallaggi. Come accaduto pochi minuti dopo l’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, con i corpi delle persone morte a causa delle piogge torrenziali ancora intrappolati nell’acqua e il leader della Lega nonchè ministro che già accusava il centrosinistra che governava la Regione di essere responsabile della tragedia. Insieme ai suoi accoliti di Fratelli d’italia, ça va sans dire.
Ecco spiegato il pesantissimo divario di 17 punti in percentuale tra la vittoria roboante di Michele De Pascale e il tonfo assordante di Elena Ugolini. A testimoniare un ribrezzo umano prima ancora che politico dell’elettorato verso chi usa le tragedie per conquistare qualche straccio di voto.
Altra regione altro bullismo. “I voti non li elemosino di certo, al massimo li compro o li prendo di prepotenza”, aveva detto in umbria per il centrodestra il sindaco di Terni Stefano Bandecchi, personaggio la cui volgarità mette da tempo un po’ in ombra persino le uscite di Salvini. La candidata del centrodestra non si è mai dissociata dai contenuti e dai toni del suo sodale.
Ma ancora di più ha contato, così come la sanità pubblica è da sempre il fiore all’occhiello dell’Emilia Romagna, la cattiva gestione della sanità umbra da parte del centrodestra, con riduzione sistematica delle risorse e delle strutture pubbliche a vantaggio di entità private. E sulla pelle della gente c’è poco da fare ideologia contro le “zecche rosse”, nel migliore dei casi sei incapace e nel peggiore hai interessi in comune con i privati a cui hai erogato soldi pubblici.
Anche in Umbria il divario è stato molto consistente. Stefania Proietti ha vinto con il 51% dei voti contro il 46% della governatrice uscente Donatella Tesei. Abituati come eravamo di questi tempi a vittorie sul filo di lana per chiunque vincesse, ci ritroviamo con 15 punti di differenza in Emilia e 5 punti percentuali in Umbria. La forbice mai così accentuata tra i due schieramenti è il vero elemento su cui riflettere di questa mini tornata elettorale.
Va anche notato che questo voto arriva pochi giorni dopo che la Corte Costituzionale ha bocciato sette articoli della legge sull’Autonomia differenziata su cui Giorgia Meloni, insieme al progetto di premierato, aveva pensato di porre le basi per una lunga durata del suo dominio. Non c’è relazione con il voto regionale, naturalmente, ma se ci aggiungiamo i tagli alla finanziaria in arrivo e il dimezzamento dei sussidi per i poveri, troviamo molti indizi di un lento ma inarrestabile declino del centrodestra a guida estremista.
E poi l’occhio di riguardo delle forze dell’ordine verso le manifestazioni squadristiche a Bologna, di cui ci parla Vittorio Alfieri in un altro articolo di oggi, le urla continue verso chiunque osi contraddire Meloni e Salvini, il farsi passare da vittime nonostante governino con una maggioranza fortissima in Parlamento, le risorse destinate agli antiabortisti la cui presenza hanno tentato di far diventare istituzionale nei presidi socio-sanitari, la distruzione dell’audience della televisione pubblica con programmi da fiera del carciofo, la paranoia continua di essere oggetto d’inchieste giudiziarie. E molto altro. Compreso il vizietto del Presidente del Consiglio di evitare di rispondere a interviste non concordate, di rispondere a domande vere.
Insomma il segnale che viene da Umbria ed Emilia è forte nell’immagine più che nei numeri. Anche perchè proviene contemporaneamente da Nord e Centro Italia, due territori dove sinistra e centrosinistra hanno comunque una lunga tradizione.
Ma il senso è chiaro e univoco. La sguaiatezza, la volgarità, i processi mediatici, le accuse ai più deboli di causare la rovina del Paese non conquistano più i consensi degli italiani. La crisi economica è tale che non basta più gridare. Anche perchè sono passati ormai due anni dall’insediamento di questo governo e nessun cittadino comune ne ha ricavato beneficio.
Il problema adesso è che mentre ci sarebbero tutte le basi per iniziare a costruire un’alternativa a questo governo, dall’altra parte il campo largo è diventato un campetto da oratorio. Nel giorno di una vittoria importante per Elly Schlein si compie l’ulteriore dimezzamento e cupio dissolvi per Giuseppe Conte e M5S (in Emilia 3,6%, in Umbria 4,8%). Determinante per la vittoria dei candidati, ma come lo erano i liberali di Altissimo o i socialdemocratici di Pietro Longo per le coalizioni di pentapartito della prima repubblica, dove oltretutto si votava con il proporzionale. Difficile immaginare un grande futuro per quel partito.
In attesa che dal centrosinistra giungano segnali di vita, la partita che si apre adesso riguarda fondamentalmente gli elettori moderati del centrodestra. Forza Italia è il punto debole del governo Meloni: sopraffatto dalle urla scomposte dei suoi compagni di merende, la cui cultura è comunque diversa da quella delle piazze meloniane e salviniane, può ritrovare centralità politica soltanto abbandonando al loro destino Meloni e Salvini, i perdenti prossimi venturi.
Non si può escludere già all’interno di questa legislatura uno scavallamento dei forzaitalioti che porti a un governo di unità nazionale con il Pd. I più informati sussurrano che anche di questo abbiano parlato Mario Draghi ed Elly Schlein nel loro recente incontro romano.