Un’inchiesta condotta dal New York Times e dal Fuller Project ha portato alla luce condizioni di lavoro estremamente dure nelle piantagioni di zucchero in India, rivelando un sistema di sfruttamento che coinvolge alcuni dei principali marchi occidentali.
L’indagine ha mostrato come le lavoratrici nelle piantagioni, particolarmente nello stato del Maharashtra, siano intrappolate in una spirale di debiti e siano costrette a sottoporsi a isterectomie per poter continuare a lavorare.
Il settore dello zucchero indiano, secondo produttore mondiale, è ora sotto pressione per ripulire le sue catene di approvvigionamento e migliorare la supervisione. In risposta al rapporto, alcuni sindacati indiani hanno recentemente organizzato uno sciopero della fame di tre giorni per chiedere migliori condizioni di lavoro.
La Coca-Cola, una delle aziende che acquista zucchero dal Maharashtra, ha tenuto un incontro segreto con i leader del governo indiano e i fornitori di zucchero per discutere di pratiche di raccolta più responsabili. Inoltre, Bonsucro, un ente che stabilisce standard per l’industria dello zucchero, ha annunciato la creazione di una task force per affrontare le violazioni dei diritti umani.
L’inchiesta ha rivelato che molte delle lavoratrici sono costrette a sposarsi in giovane età per poter lavorare al fianco dei loro mariti nei campi. Indebitate con i datori di lavoro, queste donne sono costrette a tornare nei campi anno dopo anno. Inoltre, molte di loro sono state sottoposte a pressioni per sottoporsi a isterectomie, anche per disturbi comuni come le mestruazioni dolorose.
Spesso, per pagare queste operazioni, le lavoratrici devono chiedere prestiti ai loro datori di lavoro, aumentando ulteriormente il loro indebitamento. Queste operazioni, che mettono fine alle mestruazioni, sono state denunciate per le gravi conseguenze che comportano, tra cui la menopausa precoce.
Nonostante le multinazionali siano consapevoli da anni di questo sistema abusivo, l’inchiesta ha mostrato che hanno fatto ben poco per porvi rimedio. Un esempio emblematico è una fabbrica che, pur traendo profitto da questi abusi, ha ricevuto un sigillo di approvazione da Bonsucro, un ente sostenuto da grandi marchi come Coca-Cola, PepsiCo, Unilever e General Mills.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, Bonsucro ha avviato la creazione di una task force per migliorare le ispezioni e comprendere come sia stato possibile che gli ispettori non abbiano rilevato gli abusi. Tuttavia, l’approvazione della task force è avvenuta lentamente, con le aziende che hanno esitato ad accettare la sua creazione.
Jason Glaser, membro del consiglio di Bonsucro e capo del La Isla Network, ha espresso il desiderio di vedere un impegno più chiaro da parte dei marchi, criticando l’approccio di esternalizzare completamente la soluzione ai problemi. Glaser ha inoltre sottolineato che la task force si concentrerà inizialmente sulle segnalazioni di isterectomie forzate.
Un problema centrale è il sistema di pagamento dei lavoratori: invece di ricevere un salario, i lavoratori migranti del Maharashtra ricevono anticipi che funzionano come prestiti da ripagare con il lavoro. Senza regole chiare, molti lavoratori finiscono la stagione ancora indebitati e sono costretti a tornare a lavorare.
I sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori, come CNV Internationaal, hanno criticato l’attenzione del settore sulla sostenibilità, sottolineando la difficoltà di parlare di salari dignitosi per i lavoratori più poveri.
Anche Coca-Cola e PepsiCo hanno dichiarato di essere al lavoro per affrontare questi problemi, con Coca-Cola che ha avviato un progetto chiamato Coalition for Responsible Sugarcane India per migliorare le condizioni nelle piantagioni del Maharashtra.
Infine, Glaser ha proposto un progetto pilota per migliorare la supply chain di un singolo zuccherificio, un’iniziativa che richiederebbe un investimento relativamente piccolo per le multinazionali e che potrebbe diventare un modello di riferimento per l’intera industria. Ha concluso sottolineando che nessuna azienda perderebbe il proprio vantaggio competitivo assicurandosi che le donne non siano costrette a sottoporsi a interventi chirurgici inutili.