Negli ultimi anni, l’idea di ridurre la pressione fiscale è diventata un punto fermo della politica di destra in diversi Paesi. Dagli Stati Uniti di Trump agli Stati europei, la promessa di tasse più basse viene presentata come la chiave per liberare risorse, aumentare la spesa dei consumatori e incentivare le imprese a investire.
Ma cosa accade davvero quando un governo abbraccia questa politica? Quali servizi vengono colpiti per primi, e i benefici promessi arrivano davvero a tutta la popolazione? Analizziamo il caso degli Stati Uniti sotto Trump e confrontiamolo con esempi di Paesi ad alta tassazione, come quelli scandinavi, e altre nazioni che hanno adottato politiche fiscali simili.
Nel 2017, il presidente Trump approvò il Tax Cuts and Jobs Act, riducendo l’aliquota dell’imposta sulle società dal 35% al 21%. Questo intervento si tradusse in uno dei più grandi tagli fiscali della storia americana, stimato in circa 1.500 miliardi di dollari in mancati introiti per lo Stato nel decennio successivo.
Trump e i repubblicani sostenevano che questa misura avrebbe creato nuovi posti di lavoro e portato benefici duraturi per la classe media. Ma i numeri indicano un quadro molto diverso.
Nel 2019, il deficit federale degli Stati Uniti aumentò di circa 17%, arrivando a oltre 1.000 miliardi di dollari. Il Congressional Budget Office (CBO) prevede che il deficit continuerà a crescere nei prossimi anni a causa del taglio delle tasse, contribuendo ad aumentare il debito pubblico americano, che nel 2023 ha raggiunto i 31 mila miliardi di dollari.
Nonostante un picco temporaneo di crescita economica nel 2018, con un incremento del Pil del 2,9%, i benefici per la classe media e i lavoratori sono stati limitati. Uno studio del National Bureau of Economic Research ha dimostrato che la maggior parte dei benefici fiscali è stata incamerata dalle grandi aziende e dai loro azionisti, con effetti minimi sugli stipendi della classe media. Le retribuzioni sono cresciute di appena l’1% nel biennio successivo, mentre il divario tra redditi alti e bassi è aumentato.
Per far fronte alla riduzione delle entrate, il governo ha tagliato i fondi per programmi di assistenza sociale e sanitaria, come il Medicaid, lasciando milioni di americani con meno accesso alla sanità pubblica.
Tra il 2018 e il 2020, la spesa per l’istruzione pubblica e i programmi di sussidio sociale ha subito un rallentamento. Molti stati repubblicani, come Texas e Florida, già con bassa pressione fiscale, hanno optato per un sistema di welfare ridotto, dove i cittadini pagano di tasca propria per servizi essenziali.
Quando un Paese riduce le imposte dirette i governi spesso compensano con un aumento delle tasse indirette, come l’Iva o le accise sui beni di consumo. Gli Stati Uniti, con un sistema fiscale più orientato a tasse indirette, fanno pagare ai cittadini tasse aggiuntive su carburante, tabacco, alcool e beni di consumo, un modello che grava maggiormente sulle famiglie con redditi bassi.
In Europa, nazioni dell’Est come Ungheria e Polonia, con aliquote fiscali basse rispetto alla media UE, seguono un modello simile. In Ungheria, l’Iva sui beni di consumo è al 27%, una delle più alte al mondo, per compensare la bassa tassazione sul reddito.
Questo sistema crea disuguaglianze, con le classi più vulnerabili che devono affrontare costi più elevati per beni di prima necessità. La sanità pubblica, in particolare, soffre in queste economie: in Ungheria, la spesa pubblica sanitaria è pari al 5,2% del PIL, contro una media UE del 7,2%.
Nei Paesi scandinavi, il modello fiscale è opposto: imposte elevate sui redditi e contributi significativi da parte dei cittadini, ma con un sistema di welfare che copre istruzione, sanità e pensioni a livelli eccellenti. Nel 2022, la Danimarca ha applicato un’aliquota del 55,9% sui redditi più alti, utilizzando queste entrate per finanziare servizi pubblici di alta qualità.
In Norvegia e Danimarca, la spesa pubblica pro capite per la sanità è rispettivamente di 6.187 e 6.051 dollari (dati Ocse 2023), quasi il doppio rispetto agli Stati Uniti (3.927 dollari). Il risultato è un sistema che copre ogni cittadino, indipendentemente dal reddito.
Il tasso di povertà in questi Paesi è tra i più bassi al mondo, con un 5,4% in Svezia e un 6,1% in Norvegia, contro il 17,8% degli Stati Uniti. Questi Paesi hanno inoltre una disuguaglianza economica minore, misurata dal coefficiente di Gini, che si attesta a 0,28 in Svezia, mentre negli Stati Uniti è di 0,41.
Con la recente avanzata della destra in Scandinavia, tuttavia, l’idea di ridurre la tassazione sta mettendo in discussione questo modello. La coalizione di centro-destra in Svezia ha ridotto i finanziamenti alla sanità e ha introdotto costi extra per l’istruzione universitaria, segnalando un cambiamento nella politica fiscale che potrebbe aumentare le disuguaglianze nei prossimi anni.
I tagli fiscali promossi dalla destra hanno sempre dimostrato di poter incentivare l’economia e il settore privato soltanto nel breve periodo, e sempre a scapito del welfare e della redistribuzione. Il modello americano di Trump, basato su imposte ridotte e incentivi per le imprese, ha beneficiato principalmente le fasce di reddito più alte, a discapito di chi dipende dai servizi pubblici.
In Europa, i Paesi che mantengono tasse elevate vedono in cambio un sistema di welfare che protegge tutti i cittadini, ma l’avanzata della destra politica sta minacciando questo equilibrio. In definitiva, la riduzione delle tasse rappresenta una scelta politica che offre vantaggi immediati a una parte della popolazione, ma che a lungo termine può compromettere la coesione sociale e la qualità dei servizi essenziali.