La novità stavolta è soprattutto tecnologica, visto che sappiamo tutti come l’utilizzo dei social sia per sua natura basato sul furto di “anima” e gusti commerciali degli utenti. Cominciamo da Tik Tok, dove, nel browser Web utilizzato all’interno dell’applicazione, il codice supplementare consente all’azienda di tenere traccia di ogni carattere digitato dagli utenti.
Mentre l’applicazione di video, di proprietà cinese, è alle prese con le preoccupazioni dei legislatori statunitensi su come utilizza i dati, si è scoperto che grazie a un codice l’azienda può sapere tasto per tasto cosa digita l’utente, quindi anche prima d’inviare la richiesta di collegamento.
Va ricordato che la raccolta di informazioni su ciò che le persone digitano sui loro telefoni mentre visitano siti web esterni è utilizzata di solito dai pirati informatici per raccogliere informazioni su carte di credito e password.
Tik Tok naturalmente smentisce. ma il problema evidenziato da un programmatore indipendente è venuto fuori proprio mentre il governo Usa sta discutendo se l’applicazione può mettere in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti condividendo informazioni con la Cina.
Più grave ancora invece la vicenda accaduta a San Francisco con Google, indubbiamente una società statunitense, dove un papà che ha scattato foto al suo bambino per inviarle al medico è stato denunciato come criminale dall’azienda social.
Il genitore aveva scattato foto dell’area inguinale del bambino con il suo smartphone Android, per documentare il problema in modo da poterne tracciare l’andamento e inviare le immagini al medico curante, che già stava seguendo il caso.
Con l’aiuto delle foto, il medico ha diagnosticato il problema e ha prescritto antibiotici, che lo hanno rapidamente risolto. L’uomo però è finito al centro di una rete algoritmica progettata da Google per denunciare le persone che scambiavano materiale pedopornografico. Così per dieci lunghi anni è rimasto intrappolato in un’indagine della polizia.
Il papà, che oltretutto è un programmatore, aveva basato completamente la sua vita digitale e telefonica su Google, che dopo la denuncia gli ha chiuso tutti gli account facendogli perdere tutti i dati, comprese le cartelle cliniche del figlio, accumulati in anni di lavoro.
Ma la perdita del materiale sarebbe il meno, visto che Google lo aveva segnalato al dipartimento di polizia di San Francisco che lo ha messo sotto indagine per dieci anni.
Secondo la Electronic Frontier Foundation, un’organizzazione per le libertà civili digitali, una delle prime e la più tenace nel denunciare gli abusi della rete, di casi come questo ce ne sarebbero molti altri, ma le persone segnalate ingiustamente non li denunciano per il timore di rientrare in un incubo di diffamazione da cui sono appena usciti.
La legge attuale non consente in alcun modo ai protagonisti di queste violazioni e diffamazioni di rivalersi chiedendo i danni ad aziende come Google. Però sono preoccupate per la violazione delle privacy dei cittadini Usa da parte dei cinesi.
