La sconfitta di Kamala Harris nelle presidenziali 2024 è stata un’implosione epica, e nel Partito Democratico si è scatenata immediatamente la corsa a trovare un capro espiatorio. Lo staff della Harris non ci ha pensato due volte a puntare il dito contro Joe Biden, accusandolo di non essersi fatto da parte in tempo per lasciare alla vicepresidente lo spazio di una campagna “propria.”
Ma questa teoria ha tutta l’aria di una scusa arrangiata: la verità è che la Harris, e i democratici con lei, sono inciampati da soli, malgrado fondi record e tutte le infrastrutture a disposizione.
Ripartiamo dai numeri: nel 2020, Joe Biden ha vinto con uno storico record di 81 milioni di voti, mentre Trump ne ottenne circa 74 milioni. Nel 2024, Trump ha mantenuto i suoi fedelissimi, chiudendo con 72 milioni di voti. E la Harris? Ha rastrellato appena 67 milioni di voti, perdendo un incredibile 14 milioni rispetto a Biden.
È evidente che non è stato Trump a vincere: sono stati i Democratici a perdere, e di brutto. E mentre l’entourage della Harris accusa Biden, la realtà è che puntare il dito contro di lui non è solo meschino – è ridicolo.
Incolpare Biden per la sconfitta è ironico, se non tragico. Durante il suo mandato, pur tra mille difficoltà, l’economia americana è cresciuta (PIL a +3% nel 2023) e il tasso di disoccupazione è sceso al 4,2%. Ma i democratici, si sa, non perdono occasione per complicarsi la vita da soli: tra lotte interne e divisioni ideologiche, si sono rivelati il peggior ostacolo a se stessi.
Biden è finito come il povero Romano Prodi, il solo capace di battere il suo eterno rivale, Berlusconi, per ben due volte, per poi essere travolto dalle faide interne della sua coalizione. La Harris, quindi, ha davvero poco da recriminare a Biden: la sua campagna non è stata altro che un riflesso della confusione e dell’autoreferenzialità che dominano i dem oggi.
Ma il vero disastro è stato perdere due delle loro basi elettorali più solide: le comunità nere e gli elettori immigrati. Per decenni, il Partito Democratico è stato la casa politica di questi gruppi, che nei dem hanno trovato chi li difendeva da discriminazioni e ingiustizie sociali.
Nel 2024, però, queste comunità non si sono sentite più rappresentate: hanno visto un partito che parlava tanto di inclusione e uguaglianza ma che, nei fatti, li ha abbandonati. Biden aveva varato iniziative sulla giustizia e aumentato i fondi per le scuole pubbliche, ma non è bastato. Disoccupazione, disuguaglianze, insicurezza urbana: i problemi quotidiani di queste comunità non sono stati risolti.
E la campagna della Harris, per quanto abbia provato a rilanciare slogan inclusivi, è risultata vuota e inconcludente. Anziché una leadership autentica e vicina ai bisogni reali, i Democratici hanno offerto alle comunità nere e immigrate una serie di frasi fatte e gesti simbolici.
Non si può non parlare della gestione dei fondi. La Harris ha raccolto quasi un miliardo di dollari – sì, un miliardo! – e nonostante questo tesoro elettorale, la sua campagna è stata un flop colossale. Invece di investire in una strategia di comunicazione moderna, capace di parlare agli elettori, lo staff ha dilapidato i fondi in campagne digitali disorganizzate e incoerenti.
Ogni centesimo speso sembrava un tentativo di copiare la vecchia formula vincente di Biden, ma senza lo stesso impatto. E così la Harris è apparsa oscillante: un momento progressista, l’attimo dopo prudente, fino a smorzare qualsiasi entusiasmo – e alienare molti sostenitori.
Dopo questo disastro, il Partito Democratico è già con lo sguardo al 2028. E i nomi circolano: Gavin Newsom, governatore della California, è visto come un candidato progressista e esperto, ma c’è chi spera in Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane rappresentante di New York, per dare una scossa a sinistra.
Tra i moderati, che certo non mancano tra i dem Usa, Pete Buttigieg sembra essere l’uomo giusto per attrarre un elettorato più ampio. Ma anche qui, i democratici si trovano di fronte a un dilemma che rischia di spaccarli ulteriormente: puntare su un candidato radicale o su uno moderato?
La lezione è amara e non potrebbe essere più chiara: se il Partito Democratico vuole riconquistare gli elettori che ha perso, non può più affidarsi a frasi fatte e ai simbolismi. Deve rimboccarsi le maniche e lavorare davvero per le persone che ha tradito. La disfatta del 2024 è più di un errore strategico: è il bivio tra la ripresa dell’iniziativa politica proigressista o il funerale dei dem Usa.