Nel Delta del Niger, l’estrazione petrolifera da parte di compagnie internazionali come Shell ed Eni ha portato a un disastro ambientale e sociale. Comunità come Ogale hanno visto le loro terre diventare sterili, la fauna scomparire e le acque contaminarsi, compromettendo agricoltura e pesca, sottraendole all’economia che permetteva alle famiglie di sopravvivere.
L’inquinamento ha reso l’acqua potabile pericolosa, con livelli di benzene fino a 900 volte superiori ai limiti consentiti, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).
Recentemente, compagnie come Shell, Exxon, Eni, Equinor e Addax hanno annunciato piani per disinvestire dalle operazioni in Nigeria, vendendo le infrastrutture a gruppi locali. Dopo aver devastato l’ambiente, il territorio e la vita della popolazione hanno trovato fonti di reddito più veloci ed economiche, iniziando il disimpegno dall’area.
Il loro alibi è di contribuire in questo modo all’indigenizzazione del settore petrolifero del paese, che rappresenta circa il 5% del Pil e oltre il 90% delle esportazioni. Le aziende nigeriane in questo modo potranno superare le difficoltà legate a criminalità e proteste della comunità. Ma la realtà è diversa: in questo modo scaricano la responsabilità dell’inquinamento sui gruppi locali.
Questa mossa, motivata dalla ricerca di operazioni più redditizie e dalla complessità operativa nel Delta, solleva infatti preoccupazioni sulla responsabilità della bonifica ambientale. L’Heda Resource Centre accusa queste aziende di voler scaricare il peso della bonifica su entità locali non adeguatamente equipaggiate.
L’italiana Eni ha svolto un ruolo significativo nelle operazioni nel Delta del Niger. Nonostante l’impegno dichiarato per la sostenibilità, Eni è stata coinvolta in controversie riguardanti l’inquinamento e la gestione ambientale nella regione. E’ stata più volte portata in tribunale dalle comunità locali.
La regione è stata teatro di attività di gruppi militanti come il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND), che hanno condotto azioni contro le compagnie petrolifere, accusandole di sfruttamento e inquinamento. Questi gruppi hanno spesso sabotato infrastrutture petrolifere, aggravando ulteriormente l’inquinamento.
Il ruolo più importante nel paese è stato quello della Shell, a partire dal 1938, ma oggi quella che sembrava un’operazione di vendita conclusa, il passaggio per 1,3 miliardi a Renaissance Africa Energy, un consorzio locale, è stata bloccata dai tribunali nigeriani.
La Shell è in assoluto la compagnia petrolifera che ha prodotto i danni più gravi al territorio e alle persone, con strumenti criminali che hanno portato all’esecuzione di attivisti della società civile che si opponevano alle devastazioni da parte del governo nigeriano. Per questi omicidi la Shell è stata costretta a patteggiare in un tribunale del Regno Unito un risarcimento economico ai familiari delle vittime.
Il governo nigeriano, sia attuale che passato, ha facilitato l’accesso delle multinazionali al Delta del Niger, spesso senza imporre regole ambientali rigorose o controlli sistematici. Questa complicità ha contribuito all’inquinamento dilagante, privilegiando gli introiti immediati rispetto alla protezione delle risorse naturali.
La senescenza delle strutture, a cominciare dai tubi di trasporto del petrolio, che hanno perdite costanti dovute alla vecchiaia delle pipeline, e delle strutture dei pozzi per lo stesso motivo, sono tra le cause principlai dell’inquinamento.
Questo significa anche che la condizione degli impianti che la Shell sta tentando di vendere alla società locale, non è adeguata al prezzo richiesto, in quanto va assolutamente ristrutturata con ulteriore esborso per il consorzio nigeriano, come denunciato dalle Ong impegnate nel paese, che evidenziano anche come il passaggio a forze economiche locali e vicine al governo comporterà un aumento incontrollato degli abusi verso la popolazione.
L’inquinamento ha colpito gravemente le falde acquifere, rendendo l’acqua potabile pericolosa per la salute pubblica. In molte aree, l’acqua è diventata inutilizzabile e il terreno compromesso, con un impatto devastante sull’agricoltura e sulla vita quotidiana.