L’America si inchina all’odio travestito da moralità. Walmart, il colosso mondiale della vendita al dettaglio, ha deciso di allinearsi ai diktat dei gruppi conservatori che da anni attaccano le politiche di diversità, equità e inclusione (DEI) come fossero il male assoluto. Nel 2024, in un Paese che si vanta di essere una democrazia avanzata, la pressione della destra reazionaria riesce a piegare anche i giganti economici, riducendo iniziative che promuovono uguaglianza e rispetto.
Non si tratta di scelte casuali, ma di un chiaro segnale: chi difende i diritti LGBTQ+, chi combatte per un mondo lavorativo equo e inclusivo, oggi è sotto attacco. Walmart ha smesso di sostenere eventi come il Pride, ha ridotto i programmi di formazione sull’equità razziale e ha eliminato criteri che tengano conto della diversità per l’assegnazione di contratti. Con una dichiarazione inquietante, il portavoce dell’azienda ha commentato: “Siamo disposti a cambiare insieme ai nostri soci e clienti che rappresentano tutta l’America.”
Un passo indietro che risuona ovunque
Walmart non è un nome qualunque. Con oltre 10.000 negozi in 24 Paesi, è la più grande catena al mondo nel settore della grande distribuzione. Sebbene non operi direttamente in Italia, ha collaborato con l’Agenzia ICE per promuovere prodotti alimentari italiani negli Stati Uniti, mostrando un interesse per il Made in Italy. Tuttavia, il suo approccio alle questioni sociali solleva interrogativi su come un’azienda così influente possa contribuire alla diffusione di politiche esclusive e divisive.
L’onda di retromarce non si ferma a Walmart. Anche aziende come Starbucks, Ford, Harley-Davidson e Molson Coors hanno ceduto alle pressioni di attivisti conservatori, modificando o abbandonando iniziative a favore della diversità e dei diritti LGBTQ+. Questi marchi iconici, spesso visti come progressisti, stanno dimostrando che la paura di perdere clienti può superare l’impegno per i diritti umani.
L’inclusione come minaccia al potere
Questa battaglia non riguarda solo Walmart o il Pride. Riguarda l’idea stessa che un’azienda possa riflettere e sostenere una società più giusta. Le politiche DEI erano un piccolo passo per bilanciare decenni di esclusione e marginalizzazione, eppure la loro semplice esistenza è vista come una minaccia da chi si aggrappa a vecchi privilegi.
I conservatori che si oppongono a queste iniziative non difendono “valori tradizionali” né combattono per un mercato “neutrale”. Stanno lottando per mantenere in vita un sistema che esclude, opprime e ignora chiunque non si conformi alle loro norme sociali. Rifiutano il progresso, temono il cambiamento e odiano ciò che non comprendono. E Walmart, come molti altri, ha scelto di accontentarli per non perdere quote di mercato in un Paese sempre più diviso.
Quando il profitto vale più dei diritti
La retromarcia di Walmart mostra la spietata logica del capitalismo americano: i diritti valgono solo finché non danneggiano il bilancio. Di fronte alla minaccia di boicottaggi da parte di gruppi conservatori, le aziende abbandonano senza esitazioni il linguaggio dell’inclusione per proteggere i profitti. Ma questa non è neutralità: è una scelta. Una scelta che dice chiaramente da che parte si sta.
Un futuro per chi non si arrende
Ma c’è una cosa che gli attivisti conservatori non possono cancellare: la consapevolezza che cresce in una generazione sempre più aperta e disposta a lottare per un futuro migliore. Il passo indietro di Walmart e di altre aziende non cancella i progressi fatti finora, né fermerà chi si oppone all’omofobia, al razzismo e all’esclusione.
La battaglia è tutt’altro che finita. Se Walmart ha scelto di inchinarsi ai conservatori, il resto della società deve scegliere di resistere. Perché l’inclusione non è una concessione: è un diritto. E non c’è compromesso che possa cambiare questa verità.