sabato, Luglio 27, 2024
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Connessioni interrotte

Quarant’anni dopo aver praticato la disobbedienza civile e il dissenso politico in forme talvolta aspre, in un’Italia e in un mondo dove il pensiero unico ancora non era dominante, ritengo che non si possa tacere dinanzi alla repressione del dissenso che sta avvenendo dentro e fuori le università, in Italia e nel mondo. Anche se, a differenza di allora, non condivido la maggior parte delle parole d’ordine della protesta. Ma non è questo il punto.

Come ha giustamente notato il professor Branko Milanovic, della City University di New York, nel suo articolo tradotto dal Manifesto, stavolta la polizia e i suoi consueti e discutibili metodi c’entrano poco. E’ evidente la volontà politica che, trasformate le università in unità produttive, vuole applicata la repressione del dissenso con altrettanta ferocia di quanto già avvenuto in precedenza nel mondo della produzione non cognitiva, nel mondo industriale.

Perchè se è anche esteticamente visualizzabile, tramite telecamera, l’imbecillità di entrare in una casa dove è esposto un cartello contro la Nato per identificare chi l’ha esposto, o di prendere a manganellate degli studenti inermi, prosegue invisibile da anni la criminalizzazione, ad esempio, del sindacalismo nel settore della logistica, quello, per capirci, dell’industria dominante, che dal vostro pc vi fa arrivare i pacchi a casa.

Confindustria ci fa sapere, tramite il Sole 24ore, che sono 50 le figure che rivoluzioneranno la classificazione del personale del contratto del settore trasporto merci, logistica e spedizioni, da aggiornare in seguito alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale e dell’evoluzione tecnologica. Parliamo di un settore dove a fianco di figure radunabili in un unico luogo di smistamento merci si muovono singoli lavoratori, padroncini li avremmo chiamati un tempo, ma oggi sono di fatto dipendenti a cottimo, che fungono da tramite tra l’unità produttiva e il territorio, tra azienda e cliente. Circa un milione di lavoratori, con un contratto collettivo scaduto a marzo. Del loro sciopero generale di sei giorni fa, organizzato dal sindacalismo di base, c’è poca o nessuna traccia sui giornali.

“Sgominato” il sindacalismo classico con, in alcuni casi, il divieto per alcune organizzazioni, come la Fiom, di essere presenti nei luoghi di lavoro, ricostituiti i sindacati “gialli” di antica memoria, quelli collusi con il padronato, la cronaca nel settore della logistica ci riserva un menù che va dalle minacce e le aggressioni fisiche alle denunce penali contro chi osa mettere in discussione il nuovo paradigma dello sfruttamento in stile Jeff Bezos.

La riduzione all’invisibilità di questo dissenso dal modello produttivo è una delle basi che rende possibile pagare 4 euro l’ora un lavoratore, eliminare dal dibattito politico il salario minimo garantito, abolire il Reddito di Cittadinanza, rendere legali salari che non coprono nemmeno le spese basilari degli individui e anche, questo è il punto, manganellare e identificare chi protesta, nelle università e fuori, perchè quelle proteste inceppano il meccanismo industriale del momento alla base, nel momento formativo.

Certo, per vedere il collegamento tra la repressione contro gli studenti e il riassetto industriale aggravato dall’intelligenza artificiale bisogna essere un po’ lungimiranti e leggere ogni tanto almeno un giornale e non cliccare solo sui titoli. O magari soltanto provare a fare quelle connessioni che una volta c’insegnava proprio la scuola, prima che la facessero a pezzi, sempre in nome di una velocità produttiva che, applicata alla formazione, ha portato quasi allo zero il pensiero critico.

Mi colpisce che nemmeno tra le liste per le elezioni europee che si richiamano alla sinistra, o quella roba là, che ha a a che fare con ciò che abbiamo chiamato a lungo così, questo nesso tra repressione produttiva, repressione cognitiva e repressione d’opinione sia evidenziato. Magari è considerato vezzo intellettuale da fichetti, eppure è il cuore, la sostanza del problema.

Continuare a spezzettare gli ambiti di contestazione del sistema come se fosse l’elenco della spesa da mettere in un programma, due parole sull’ambiente, due parole, anzi una, sui lavoratori, un po’ di servizi sociali, premierato puzzone, autonomia differenziata razzista, qualche ospedale in più, non porta da nessuna parte. Ce li ha persino Calenda nel programma.

Questo pensiero debole, che ormai è solo debolezza senza più pensiero, che non sa più guardare al centro della questione, l’immaterialità della produzione e i problemi che comporta, rende visibili soltanto le manganellate in diretta televisiva e non quelle che tolgono la vita alle persone senza far rumore e senza scandalo. Il coraggio per unire i puntini può essere dato soltanto da una visione complessiva dello scontro sociale in corso.

by ho visto nina volare. licensed under CC BY-SA 2.0.
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