sabato, Luglio 27, 2024
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Israeliani e palestinesi devono sconfiggere Netanyahu e Hamas

Ci sono cose sgradevoli che bisogna pur dire. Soprattutto agli amici, che siano israeliani o palestinesi. Sono tra coloro che riconoscono il diritto d’Israele a non far ammazzare la propria gente e che da decenni è a favore dello stato di Palestina. Basta questo per essere invisi a entrambe le parti, purtroppo. Ma non esiste futuro di pace nel mondo senza che queste due condizioni si realizzino entrambe.

Il sentiero strettissimo, e difficile, quasi impossibile, da percorrere comincia da una netta separazione tra popoli e governi. Impossibile avere rispetto per un governo di estrema destra come quello di Benjamin Netanyahu, dove siedono estremisti religiosi che vogliono segregare le donne in pubblico, sugli autobus, negli eventi pubblici, impedirgli di candidarsi alle elezioni, mettere in prigione quelle che avessero visitato il sito sacro del Muro Occidentale a Gerusalemme con “abiti inappropriati o immodesti”, come si legge nelle proposte di legge del partito ultraortodosso Shas, che oggi esprime il ministro dell’Interno. La realtà è peggiore.

Se si prova ripugnanza per il regime sciita iraniano che nega i diritti e il corpo delle donne imponendogli come vestire e imprigionando e uccidendo quelle che osano ribellarsi, non si può che combattere il medioevo di Netanyahu e soci. E infatti a combatterlo sono gli israeliani stessi, scesi in piazza in massa, da molto prima del pogrom di Hamas del 7 ottobre, contro l’espansione dei poteri dei tribunali rabbinici, che basano le loro sentenze sulla legge religiosa ebraica. Netanyahu non è “gli israeliani”, così come Orban non è “gli ungheresi”, Giorgia Meloni non è “gli italiani” e via dicendo.

Per gli stessi motivi nessuna persona laica e di buon senso può legittimare organizzazioni come Hamas, dichiaratamente antisemita e negazionista dell’Olocausto, il cui obiettivo è soltanto la distruzione dello stato d’Israele e la creazione di uno stato palestinese governato sotto la legge islamica, nonostante le contraddizioni nelle dichiarazioni a seconda dei suoi leader.

Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, dopo aver ucciso decine di palestinesi aderenti ad Al-Fatah, alcuni dei suoi membri hanno tentato di imporre l’abbigliamento islamico o il copricapo hijab alle donne, vietando la loro partecipazione a eventi sportivi. Hamas è un’organizzazione criminale. Hamas non è “i palestinesi”, è il cinico sfruttamento di fame e rabbia dopo anni di rivendicazioni senza sbocco politico efficace del popolo palestinese, stretto tra la corruzione di Fatah e la cultura di morte di Hamas.

Il 7 ottobre 2023 Hamas, senza alcuna provocazione del momento dall’altra parte, ha stuprato, seviziato, ucciso e smembrato, letteralmente smembrato facendone a pezzi i corpi, circa 1200 israeliani, 859 erano civili, uomini, donne e bambini, e rapito 250 ostaggi.

Questo fatto, non opinione ma fatto, viene costantemente rimosso dal dibattito, se non addirittura negato. Tra accuse di fake news, teorie complottiste e legittimazioni attribuite all’occupazione israeliana dei territori. E’ molto grave, falso e manipolatorio della possibilità di cucire n dialogo, negare l’evidenza della gravità umanitaria di quanto avvenuto il 7 ottobre.

Vorrei chiedere a coloro che in questi giorni nelle piazze continuano ad affidare ad Hamas la rappresentanza del popolo palestinese, che i palestinesi in realtà hanno confinato alla striscia di Gaza, dove non si vota dal 2006, dopo che nel 2007 ebbe inizio il duro scontro armato tra i sostenitori di Ḥamas e chi era fedele all’Anp di Maḥmud ʿAbbas, come si fa a lottare contro le violenze israeliane e legittimare chi come Hamas la violenza la esprime al cubo, verso israeliani e palestinesi, mascherandosi dietro parole come “liberazione”. Hamas mette in atto comportamenti criminali e anti umanitari. Non è possibile alcun dialogo con chi fa a pezzi e distrugge vite umane, di qualsiasi angolo della storia faccia parte

Ma il calcolo di Hamas non è stato omicida soltanto verso gli israeliani. Ha determinato coscientemente la risposta israeliana, sapendo con esattezza ciò che sarebbe accaduto dopo, le migliaia di morti palestinesi che ne sarebbero conseguite. Il pogrom di Hamas ha avuto come immediata e logica conseguenza di far cessare le proteste in Israele contro Netanyahu e il suo governo. Un fattore che ci spiega tante cose sulla natura di ieri e di oggi di questa organizzazione e dei suoi rapporti con lo Shin Bet.

La reazione israeliana è stata sproporzionata e oltre ogni regola che permea persino le guerre. Militarmente inefficace, oltretutto, con decine di migliaia di palestinesi morti e poche centinaia di miliziani di Hamas uccisi, con l’organizzazione terrorista ancora viva e vegeta dopo sette mesi di guerra e i suoi leader comodamente alloggiati in hotel a 5 stelle in Qatar.

Due milioni di palestinesi invece vagano lungo la striscia di Gaza, difficile accusarli tutti di essere di Hamas, tra loro 600 mila bambini, senza più case, ospedali e rifugi, senza futuro, ammesso che prima ne avessero uno. Hamas ha avuto il tempo di riorganizzarsi, di tornare nel centro e nel nord di Gaza e di prepararsi a Rafah. E gli ostaggi? Molti sono già morti, Netanyahu ogni volta che la trattativa sembra avviarsi, e nonostante le pressioni dei familiari per trattare, ripropone l’invasione di Rafah.

Benny Gantz, ministro del gabinetto di guerra ed ex capo di stato maggiore della difesa, ha apertamente dichiarato che la restituzione delle persone ancora nelle mani di Hamas “è più importante dell’operazione militare a Rafah”. Uri Misgav, editorialista di Haaretz, si chiede: “Se Rafah è davvero la chiave della nostra sopravvivenza, perché non l’abbiamo attaccata fino ad ora?”. “Ci ha portato al limite, in un posto in cui non avremmo dovuto essere. Siamo in un vicolo cieco e c’è solo una via d’uscita: le elezioni”, ha detto Arnon Bar-David, leader di Histadrut, potente federazione sindacale israeliana.

L’obiettivo di Netanyahu su cui concorda buona parte della società civile e della stampa progressista israeliana è di far fallire qualsiasi trattativa sugli ostaggi. La fine della guerra permetterebbe il ritorno a una parziale normalità in Israele, in cui non ci sarebbe più posto per il primo ministro, se non nei tribunali che lo devono giudicare per le accuse di corruzione.

Un elemento poco o per nulla conosciuto perchè mai nominato dalla stampa, che influisce sulla politica interna israeliana, è costituito dai 300 mila sfollati israeliani dal nord del paese, sotto il fuoco di Hezbollah dal Libano del sud, alimentato da soldi e armi iraniani.

Sono stati abbandonati al loro destino, come gli ostaggi nella mani di Hamas. Il premier aveva garantito il loro ritorno entro il primo settembre prossimo, per poi lamentarsi, come riporta Times of Israel, in una riunione di governo, che in fondo non sarebbe cambiato niente se tornavano qualche mese dopo. Ma morti e sfollati israeliani non commuovono l’opinione pubblica internazionale. E nemmeno Netanyahu, la cui arroganza, il cinismo e l’attaccamento al potere ha portato persino gli Usa a minacciare di far mancare il tradizionale sostegno militare a Israele.

Il premier israeliano ha portato la situazione interna e verso i palestinesi a un talmente inaccettabile bilancio di morte, distruzione e mancanza di vie d’uscita che, venerdì 10 maggio, L’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, raccomandando al Consiglio di Sicurezza di riconsiderare favorevolmente la questione.

143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti, tra cui l’Italia. Un passo simbolico ma di grande impatto. Gli Usa, che hanno votato contro, porranno sicuramente il veto al Consiglio di Sicurezza, ma ll vicolo cieco in cui Netanyahu ha portato Israele è talmente evidente, come l’impossibilità di sconfiggere Hamas sul campo militare, che senza un intervento internazionale la stituazione in Medio Oriente non troverà soluzioni di pace.

Ora la parola dovrebbe passare ai palestinesi. Perchè se anche l’Onu, sempre sotto la copertura Usa verso Israele e quella della Turchia, altro attore poco citato nella vicenda, verso Hamas, dovesse scendere materialmente in campo con mezzi e uomini per imporre la pace a Gaza e ripristinare la possbilità di accedere ad acqua, cibo e alloggio per 2,3 milioni di palestinesi, si pone la questione di chi tra i palestinesi amministrerà ciò che resta di Gaza.

Separare i palestinesi da Hamas non è possibile senza la volontà dei palestinesi di farlo. Imporre dall’alto un’amministrazione guidata dall’Autorità Nazionale Palestinese di Abbas, che controlla a malapena la Cisgiordania, rischia di creare le basi per una niuova estremizzazione del conflitto a medio termine, come avvenuto con Hamas, che proprio per questo scopo di dividere e radicalizzare i palestinesi è stata lasciata crescere e prosperare dai governi di destra che si sono succeduti in Israele.

Ma spetta ai palestinesi adesso dire la loro. Gettare le basi per una classe dirigente che superi l’idea, dimostratasi oltretutto militarmente inefficace dal 1967 a oggi, di combattere Israele con le armi. E’ impressionante il numero di morti, civili in maggior parte, disseminati nel mondo intero da fine anni ’60 dagli attentati e le carneficine del terrorismo di matrice palestinese, legato ai paesi arabi che hanno sfruttato geopoliticamente la questione palestinese fregandosene dei palestinesi.

Oggi quegli stessi paesi arabi sono in buona parte alleati, obtorto collo, con Israele, hanno creato un’alleanza militare e uno scudo aereo aiutandola a respingere i missili iraniani proprio in queste ultime settimane di guerra.

La corruzione all’interno di Al-Fatah e dell’Anp ha screditato tra gli stessi palestinesi il prestigio dell’organizzazione che guidando l’Intifada era giunta a un passo dal concludere gli accordi di pace, nei giorni di Arafat e Rabin, assassinato da un estremista israeliano, e di Arafat e Barak, penultimo governo di sinistra israeliano. Un calcolo sbagliato di Arafat, pressato già allora dalle tendenze estremiste, che invece si sono sviluppate proprio in mancanza di un terreno concreto politico, dando sempre più la parola alle armi, fino al sopravvento definitivo di Hamas sulla stessa Anp.

Il popolo israeliano e quello palestinese vivono paradossalmente un’analoga crisi di rappresentanza politica seppur in contesti molto diversi. La guerra di Netanyahu si è rivelata un massacro di civili inermi a Gaza rafforzando soltanto la mancanza di sicurezza per chi vive in Israele.

Il terrorismo di Hamas ha provocato decine di migliaia di morti tra i palestinesi e svelato il vero volto criminale di questa organizzazione, che si nasconde dietro i civili, a cui ruba anche gli aiuti umanitari. Sia in Israele che a Gaza la guerra ha rafforzato le forze politiche e religiose che puntano all’annientamento dell’altro, degli israeliani, più esattamente degli ebrei tutti, e dei palestinesi.

Mai come oggi le forze esterne al Medio Oriente devono favorire un nuovo ponte tra i popoli, altro che boicottaggi. Netanyahu non è “gli israeliani”, Hamas non è “i palestinesi”. Due popoli e due stati, adesso o mai più.

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