sabato, Luglio 27, 2024
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L’insostenibile cinismo del governo Meloni contro la povertà

“Se mezzo milione di famiglie in condizioni di povertà che percepivano il reddito di cittadinanza oggi restano fuori dall’assegno di inclusione, il fallimento delle scelte del Governo è sotto gli occhi di tutti. D’altra parte, era prevedibile visti i rigidi e discriminanti criteri di accesso all’AdI”. La Cgil, per bocca della segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi prende una posizione netta sul disprezzo che l’attuale governo Meloni ha manifestato fin dal suo insediamento verso i poveri.

L’accusa, condivisa dalle associazioni che in Italia ogni giorno cercano di tamponare il fenomeno crescente dell’impoverimento, fornendo pasti gratuiti a migliaia di persone e altre forme di aiuto, non è soltanto relativa al disimpegno dal sussidio economico. Il Governo ha fatto i suoi conticini della spesa riducendo a taglio della spesa la questione sociale, pensando di risparmiare quattro miliardi di euro sulla pelle dei più poveri.

Ma al taglio dei sussidi va aggiunto l’impoverimento relativo ai tagli agli stipendi e alle pensioni subito da lavoratori e anziani, che pagano le tasse regolarmente. Un attaggiamento accompagnato da un disprezzo vero e proprio da un governo che sembra provare soddisfazione a togliere un tozzo di pane anche a chi lavorando è povero. Un cinismo politico intollerabile, esaltato proprio dal disprezzo verso i poveri, umiliati per qualche voto in più.

Attualmente sono 480 mila le famiglie che hanno ricevuto il primo accredito dell’Assegno di Inclusione, la nuova misura che da gennaio sostituisce il Reddito di Cittadinanza come strumento di contrasto alla povertà. L’importo medio dell’assegno è di 620 euro. “La platea dei percettori è ridottissima – ha diocharato Chiara Saraceno, ex presidente della Commissione d’indagine sulla povertà e sull’esclusione sociale – riesce a escludere famiglie povere che un tempo rientravano nel reddito di cittadinanza. Questo accade perché è stato ridefinito in modo fortemente categoriale il sostegno ai poveri, quindi gli adulti senza figli minorenni sono esclusi per definizione, a prescindere dalle loro possibilità effettive di trovare un lavoro”.

Foto di ha11ok da Pixabay

Ma anche coloro che formalmente potrebbero accedere all’assegno di inclusione trovano di fatto ostacoli aggiuntivi che nulla hanno a che fare col bisogno. Ci sono i cosiddetti ‘esodati dell’Adi, gli adulti non particolarmente fragili, non ancora sessantenni, che non vivono in famiglie con minorenni o con persone disabili. Poi ci sono anche gli esclusi che hanno apparentemente i requisiti, cioè un Isee di 9.360 euro, ma questo non è sufficiente, perché bisogna rispettare altre 3 condizioni: un reddito inferiore ai 6mila euro annui, non possedere una casa dal valore superiore a un tot, non meglio specificato, e non avere risparmi superiori a un tot, sempre non specificato con chiarezza.

Le richieste per l’accesso all’Adi, l’assegno d’inclusione, hanno avuto inizio il 18 dicembre scorso, registrando un elevato numero di arrivi. Al 25 gennaio, secondo gli ultimi dati forniti dall’Inps, si contavano 651.665 domande. Tuttavia, la percentuale di richieste rifiutate è estremamente alta, raggiungendo il 28%. Quasi una domanda su tre viene infatti respinta. L’Inps attribuisce le cause principali di questo elevato tasso di rigetto al superamento dei limiti di Isee e del reddito familiare, che sembrano rimasti analoghi a quelli previsti per il Reddito di Cittadinanza.

Ciò che però genera maggiori difficoltà è una “scala di equivalenza”, ovvero un fattore moltiplicativo che adegua il requisito di reddito in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare, risultando fortemente svantaggioso. Nella valutazione per l’accesso all’Assegno di Inclusione, ogni adulto senza responsabilità di cura non incide sulla scala di valutazione, indipendentemente dal fatto che sia un figlio adulto o anche una madre.

Questo perché le responsabilità di cura sono riconosciute solo per la presenza di figli fino ai tre anni di età; una volta superata questa soglia, l’adulto non influisce più sulla valutazione. L’eliminazione del contributo affitto, che prima incrementava il reddito familiare, aggrava ulteriormente la situazione. Le famiglie con figli minori di età superiore ai tre anni e che vivono in affitto si trovano in una posizione particolarmente critica, così come le famiglie numerose.

Il criterio di accesso rappresenta un aspetto fondamentale, essendo il filtro iniziale per l’ingresso nel programma. Tuttavia, queste anomalie hanno un impatto anche successivamente, per coloro che riescono ad ottenere l’assegno, riducendone spesso l’importo e rendendo più arduo il suo ottenimento. Gli importi erogati risultano frequentemente inferiori. L’unica situazione che costituisce un’eccezione riguarda la presenza di persone con disabilità nella famiglia.

Il risparmio per il governo con l’introduzione di queste misure è stato di 4 miliardi, rispetto agliu 8 miliardi di euro spesi in precedenza per il Reddito di Cittadinanza. L’impegno del governo Meloni a rivedere i criteri di accesso è rimasta soltanto una promessa mancata, una delle tante. In attesa di racimolare qualche voto in più alle prossime elezioni europee.

Foto di Mimzy da Pixabay
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