venerdì, Giugno 28, 2024
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Quando la mondezza non puzza e produce 13 miliardi di fatturato

Il settore dei rifiuti urbani in Italia ha raggiunto un fatturato di circa 13 miliardi di euro, pari allo 0,7% del PIL, con una produzione totale di 29,1 milioni di tonnellate. Tuttavia, esistono ancora grandi differenze tra il Nord e il Sud del paese in termini di infrastrutture, con il Sud che ha la tassa sui rifiuti (Tari) più alta: 378 euro per abitante all’anno contro i 284 euro del Nord.

Questi dati sono riportati nel Green Book 2024, il rapporto annuale promosso da Utilitalia e redatto dalla Fondazione Utilitatis, con la collaborazione di Ispra, Enea, il Centro di coordinamento Raee e l’Albo nazionale gestori ambientali.

Il rapporto sottolinea l’urgenza di migliorare la gestione dei rifiuti, specialmente nel Sud, per soddisfare gli obiettivi europei: riciclare almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, il 60% entro il 2030 e il 65% entro il 2035, riducendo lo smaltimento in discarica a un massimo del 10% entro il 2035.

Nel 2022, la produzione di rifiuti urbani è stata di 29,1 milioni di tonnellate, con una riduzione dell’1,8% rispetto al 2021. La raccolta differenziata ha raggiunto il 65%, con un incremento dell’1,2% rispetto all’anno precedente, ma il tasso di riciclaggio è rimasto fermo al 49%, evidenziando un divario tra raccolta differenziata e riciclaggio effettivo.

Nel 2022, analizzando un campione di 439 aziende, il settore ha registrato un fatturato di circa 13 miliardi di euro, con oltre 86.000 dipendenti diretti. Le aziende che gestiscono impianti hanno mostrato le migliori performance economiche, con un valore aggiunto per dipendente di circa 402.000 euro, mentre le aziende che si occupano solo della raccolta hanno una produttività inferiore, con 57.000 euro per dipendente. Le imprese con fatturati superiori ai 100 milioni di euro hanno ottenuto le migliori performance economico-finanziarie.

Il Sud Italia continua a soffrire di una carenza significativa di impianti, che ostacola una gestione efficiente dei rifiuti e comporta elevate spese per il servizio di igiene urbana. I costi maggiori derivano principalmente dal trasporto dei rifiuti verso impianti fuori regione o all’estero, determinando la Tari più alta del Paese nel Sud, con 378 euro per abitante nel 2023, rispetto ai 347 euro del Centro e ai 284 euro del Nord.

La regolamentazione del settore è cruciale per superare le disuguaglianze nella qualità del servizio e nei costi, spesso associati a una combinazione di spese elevate e qualità inferiore in varie aree del Paese.

Il metodo tariffario stabilito dall’autorità contribuisce a garantire trasparenza nei costi, certezza nella remunerazione degli investimenti, protezione dei consumatori dalle inefficienze e valorizzazione dei territori che accettano soluzioni impiantistiche adeguate.

“Rifiuti” by monastereo is licensed under CC BY 2.0.

L’incremento della raccolta differenziata ha portato a una crescente domanda di nuovi impianti di trattamento, ma non tutte le regioni dispongono ancora di strutture adeguate. Utilitalia, basandosi sui dati Ispra del rapporto 2023 (con dati 2022), stima che mentre il Nord Italia e la Sardegna hanno un numero sufficiente di impianti, il Centro, il Sud peninsulare e la Sicilia soffrono di una carenza che costringe a esportare rifiuti verso il Nord e l’estero.

Questa situazione potrebbe peggiorare nei prossimi anni con l’aumento della raccolta differenziata, che produrrà maggiori quantità di rifiuti organici e scarti da trattare in impianti di recupero energetico per mantenere lo smaltimento in discarica sotto il 10%.

Per quanto riguarda i rifiuti organici, l’analisi indica che, basandosi sugli impianti esistenti e quelli in fase di realizzazione, il fabbisogno del Paese al 2035 sarà di circa 1 milione di tonnellate, in calo rispetto alle stime precedenti. Questo fabbisogno non è distribuito uniformemente: il Nord avrà un’offerta superiore alla domanda, la Sardegna sarà autosufficiente, mentre il Centro, il Sud peninsulare e la Sicilia avranno un deficit di impianti.

Per il trattamento dei rifiuti residui non riciclabili, il fabbisogno stimato al 2035 sarà di circa 2,5 milioni di tonnellate, con tutte le macroaree che presenteranno un deficit di impianti. Mentre per il trattamento dei rifiuti organici si registra un aumento delle nuove capacità installate, le previsioni per il recupero energetico sono meno incoraggianti: attualmente, non ci sono progetti rilevanti in corso, tranne l’impianto di Roma, per il quale è in corso la gara per la costruzione e gestione, che potrebbe dimezzare il fabbisogno della macroregione Centro e ridurre di circa un quarto quello nazionale.

Per facilitare la transizione ecologica, nei prossimi anni si prevede un aumento della domanda di materie prime critiche, essenziali per l’industria europea ma con un alto rischio di approvvigionamento a causa del complesso scenario geopolitico.

Lo sviluppo di filiere per il recupero di materie prime critiche e strategiche è fondamentale per garantire la sicurezza delle risorse: gli impianti rinnovabili (fotovoltaici, eolici e i sistemi di accumulo) che nei prossimi anni saranno dismessi (circa 400 mila tonnellate di rifiuti solo dal fotovoltaico entro il 2035), rappresentano una vera miniera urbana.

Il corretto riciclo dei Raee può ridurre la dipendenza da paesi terzi. Tuttavia, nel 2023, la raccolta nazionale dei Raee dai nuclei domestici è stata di circa 349mila tonnellate, in calo del 3,1% rispetto al 2022. I livelli di raccolta, circa 6 kg per abitante, sono ancora lontani dagli obiettivi europei (12 kg per abitante) e non consentono di influire significativamente sul recupero di materie prime critiche.

Data la loro importanza strategica e le difficoltà di approvvigionamento, è indispensabile potenziare la raccolta per sviluppare la filiera e garantire gli investimenti necessari per estrarre completamente il valore di questi materiali. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario rivedere i meccanismi di finanziamento della raccolta da parte degli schemi di responsabilità estesa del produttore.

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