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Strage dell’esercito in Burkina Faso, uccisi 223 civili

Il 25 febbraio, una delle più atroci violazioni dei diritti umani registrate negli ultimi anni ha avuto luogo in Burkina Faso, quando l’esercito regolare ha brutalmente ucciso “almeno” 223 civili, tra cui 56 bambini, in due villaggi isolati del paese.

La strage, secondo quanto rivelato da un accurato report di Human Rights Watch, un’organizzazione non governativa americana impegnata nella difesa dei diritti umani, è avvenuta nei villaggi di Nondin e Soro, nella provincia settentrionale di Yatenga.

Secondo il rapporto, i militari hanno agito in risposta a presunte collusioni dei villaggi con gruppi armati islamisti, un’accusa che, in assenza di prove concrete, configura le uccisioni come possibili crimini contro l’umanità. Questo episodio di violenza segue un periodo di crescente instabilità nella regione del Sahel, dove il Burkina Faso è diventato epicentro di insurrezioni jihadiste.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che il paese ha visto due colpi di stato militari nel 2022, che hanno portato alla formazione di una giunta militare guidata da Ibrahim Traoré.

Il rapporto di Human Rights Watch descrive con dettaglio gli eventi di quel giorno fatidico: a Nondin, i militari hanno ucciso 44 persone, inclusi bambini, mentre a Soro, altri 179 civili e 36 bambini sono stati brutalmente assassinati.

Questi massacri sono coincisi con un’escalation di violenza nella regione, che ha incluso attacchi ai militari, infrastrutture civili e siti religiosi tra il 24 e il 25 febbraio, suggerendo una possibile rappresaglia indiscriminata contro la popolazione civile.

Il Ministro della Difesa del Burkina Faso, Mahamoudou Sana, ha denunciato attacchi “simultanei e coordinati” da parte di gruppi armati islamisti, ma ha evitato di affrontare le accuse di esecuzioni di massa portate contro l’esercito.

Il rapporto cita anche Aly Benjamin Coulibaly, procuratore dell’Alta Corte di Ouahigouya, che ha confermato di aver ricevuto segnalazioni di “attacchi mortali” nella regione di Yatenga, con un bilancio provvisorio di 170 vittime.

Le testimonianze raccolte da Human Rights Watch includono quella di una donna di 32 anni sopravvissuta alla strage, la quale ha riferito che i militari hanno giustificato la loro azione accusando i civili di non averli informati sui movimenti dei jihadisti.

Queste accuse portano a rafforzare il sospetto che l’esercito possa avere utilizzato la violenza come uno sfogo contro presunte connivenze civili con i militanti jihadisti, seguendo un modello di rappresaglia già osservato in precedenza in Burkina Faso e nel resto del Sahel.

Human Rights Watch ha richiesto un’indagine indipendente sostenuta da Unione Africana e Nazioni Unite per chiarire le circostanze e le responsabilità legate a questi tragici eventi, auspicando che tali indagini possano contribuire a prevenire futuri abusi.

La richiesta di accountability è imperativa in un contesto dove, come nel vicino Mali, simili tragedie hanno visto l’implicazione di forze esterne, come nel caso dei contractor russi della Wagner accusati di collaborare nell’eccidio di 300 civili nel villaggio di Mourra.

La situazione in Burkina Faso è emblematica della crescente crisi umanitaria che affligge il Sahel, con oltre due milioni di sfollati e oltre 6,3 milioni di burkinabé in condizioni di estremo bisogno, secondo l’ONU.

La violenza continua ad essere una minaccia costante per la sicurezza e il benessere delle popolazioni della regione, evidenziando la necessità urgente di soluzioni sostenibili e rispettose dei diritti umani fondamentali.

“African partner soldiers participate in patrol drills during WA 14” by US Army Africa is licensed under CC BY 2.0.
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