martedì, Maggio 21, 2024
HomeMondoInchiesta sulla spesa sociale nel mondo 12: La Romania

Inchiesta sulla spesa sociale nel mondo 12: La Romania

Dalla seconda metà degli anni novanta la Romania, considerata oggi un’economia avanzata tra i paesi dell’Europa orientale, è riuscita ad emergere nel contesto europeo, affermandosi tra gli stati con il maggior potenziale di sviluppo a breve termine.

Ma se da un lato si presenta come uno Stato in rapida crescita, dall’altro rimane uno dei paesi più poveri in Europa, secondo solo alla Bulgaria, come emerso dall’elaborazione, a cura di Openpolis, dei dati Eurostat 2020 sulla povertà in Europa e dal rapporto “Poverty Watch 2020” dell’ European Anty Poverty Network (Eapn).

Guardando i dati, è difficile non mettere in discussione le scelte adottate dal governo in materia di protezione sociale, poco incisive sia dal punto di vista della varietà sia per l’efficacia delle proposte.

Il 38% della popolazione è a rischio di povertà ed esclusione sociale o in condizioni di grave deprivazione materiale, in un quadro estremamente disomogeneo, con picchi che raggiungono il 47% nelle regioni rurali del Nord-Est, le più povere, contro la media del 20% sfiorata dalle regioni centrali.

E’ principalmente la disuguaglianza delle opportunità a rendere molto difficile elevare la propria condizione sociale, specialmente tra aree urbane e campagne. Queste ultime presentano un rischio tre volte maggiore per i residenti di finire in povertà rispetto alla popolazione urbana e si registrano gravi carenze di infrastrutture e servizi accessibili, dagli ospedali sino talvolta all’elettricità, che manca a più di 200 mila abitanti dei villaggi rurali o delle baraccopoli alle porte di Bucarest e Timisoara.

Un quadro, quello di seguito descritto, che permette di capire meglio anche il fenomeno dell’emigrazione, che nel Paese ha raggiunto dimensioni enormi, con la popolazione espatriata che rappresenta il 15% di quella attualmente presente nel territorio nazionale.

Molti di loro se ne sono andati nel tentativo di guadagnare di più ed aiutare a sopravvivere anche le famiglie rimaste in patria soprattutto grazie al cambio favorevole all’euro.

Solo in Italia la comunità romena rappresenta il 23% del totale degli stranieri, con oltre un milione di individui presenti, che per lo più sopravvivono grazie a occupazioni precarie e irregolari, come colf, badanti personale di servizio e muratori, ma che consentono di aiutare i parenti rimasti in Romania.

La Romania è seconda, tra gli stati dell’Unione Europea, per la sbilanciata distribuzione delle risorse.

Il 20% più ricco della popolazione guadagna otto volte in più in un anno rispetto alla fascia più povera. Una situazione che l’Eapn imputa soprattutto al fatto che i ricavi ottenuti dal commercio non sono distribuiti in favore di politiche socialmente inclusive, mentre in parallelo il sistema della tassazione è nettamente sbilanciato in favore delle imprese.

Il Paese da decenni è nel radar di molte aziende estere, che delocalizzano qui le loro imprese, attirate dal basso costo della forza lavoro.

Già nel 2018 la porzione di ricchezza distribuita tra il 40% più povero della popolazione tendeva ad assottigliarsi rispetto alla media europea.

Una tendenza che ad oggi, tra i disagi causati dalla pandemia di Covid – 19 e dal conflitto in Ucraina, continua ad imporsi.

Nonostante questo quadro allarmante, nello stesso anno la Romania ha dedicato alla spesa per la protezione sociale solo il 15% del proprio Pil, attestandosi tra i Paesi con la spesa più bassa in quest’ambito.

Le categorie più deboli sono le più colpite, e tra queste si annoverano donne e famiglie con più di due figli a carico.

La povertà infantile registra il dato più alto in Europa, con il 38% di individui in condizioni di grave disagio economico. Secondo il rapporto di Save the Children Romania per loro solo nel 2021 è aumentato del 36% il rischio di ulteriore impoverimento, a causa anche della mancanza di strumenti che avrebbero permesso lo svolgimento delle lezioni online durante la pandemia di Coronavirus, con 9 scuole su 10 senza strumenti digitali quali tablet e laptop e 1 scuola su 4 senza connessione internet.

Non ci si può stupire se si ricorda che la Romania ha destinato solo l’8% della spesa pubblica all’educazione negli ultimi anni.

Un’ampia fetta della fascia più povera è inoltre costituita dalle popolazioni romanì, la principale minoranza etnica all’interno del Paese. Sebbene nei registri nazionali sia confermata la presenza di seicentomila individui, la Commissione europea ha stimato quasi due milioni di individui romanì nel territorio.

Quasi tutti residenti nelle campagne o nelle baraccopoli ai margini delle città, sono la categoria che ha meno possibilità di migliorare la propria condizione sociale e che allo stesso tempo ha più difficoltà nell’usufruire dei sussidi.

Anche i lavoratori autonomi sono tra le categorie più colpite dall’impoverimento, con il 70% di persone a rischio di esclusione sociale dopo la pandemia.

La disoccupazione, sebbene in aumento, non risulta tra i principali problemi del Paese, attestandosi intorno al 5%. Solo un terzo delle persone in condizioni di povertà è costituito da disoccupati e inoccupati, sebbene la disoccupazione giovanile, tra i 18 e i 29 anni, arrivi al 22%.

Tra i problemi principali vi è infatti la bassa retribuzione del lavoro, con stipendi da fame di fronte all’inflazione che ha sfiorato il 15% solo lo scorso agosto, e che le stime prevedono aumentare ancora entro la fine del 2022.

Il salario minimo stabilito dal governo è di 515,3 euro al mese, per una media di 40 ore settimanali, mentre un impiegato nel settore pubblico può arrivare a guadagnare anche il doppio.

Sebbene il governo nel 2021 abbia ribadito il suo impegno nell’appianare i disagi sociali in accordo con il Programma di Riforme Nazionali del 2020, che prevede, oltre a una serie di investimenti da destinare alle comunità locali tramite la costruzione di infrastrutture, anche una maggiore accessibilità all’assicurazione sociale, il sistema è previsto ad oggi solo per i lavoratori registrati ed è per lo più a carico del lavoratore, che dovrà versare contributi pari al 45%, ripartiti in questa misura: 25% per contributi pensionistici, 10% tassa sulla salute, e 10% di tassa sul salario, a fronte del 2,25% versato dal datore di lavoro.

Così come la pensione minima, per cui è necessario versare almeno 15 anni di contributi senza i quali è impossibile accedervi.

Anche gli aiuti previsti per la disoccupazione e per la maternità sono legati a un minimo richiesto di contributi versati nell’anno precedente alla richiesta, escludendo così una larga fetta di persone che ne avrebbero bisogno.

La legge sul reddito minimo, proposta nel 2021, risulta invece inefficace e prevede aiuti che potrebbero essere definiti simbolici, a chi ne fa richiesta.

Per accedere ai sussidi è necessario dimostrare di essere al di sotto della soglia di povertà nazionale, non essere proprietari di beni immobili o di auto che abbiano meno di dieci anni e si è vincolati allo svolgimento di lavori comunitari per tutta la durata del sussidio, rendendo difficile cercare delle condizioni lavorative migliori.

Il tutto per una somma mensile che va dai 142 dinari romeni, l’equivalente di 28 euro per una persona singola, ai 106 euro previsti per una famiglia di cinque persone.

Negli ultimi anni per migliorare l’economia il governo si è concentrato nel promuovere un modello che prevedeva l’aumento dei consumi interni, aumentando gradualmente, seppur di poco, la retribuzione media per consentire un maggiore potere d’acquisto.

Questa misura si è dimostrata inefficace di fronte all’inflazione crescente e a un aumento irrisorio dei salari, che ha invece impoverito le casse dello Stato senza aver garantito investimenti a lungo termine, come infrastrutture e trasporti, nel paese con una delle peggiori reti viarie d’Europa, con appena 750 chilometri di autostrade.

Durante l’agosto 2022 il governo ha firmato un Accordo di partenariato con la Commissione Europea in favore della coesione sociale, per cui riceverà un totale di 31 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027, dimostrando di avvertire l’urgenza di migliorare le condizioni di vita generali della popolazione.

Una mossa che potrebbe non bastare senza la previsione concreta di un aumento della spesa interna, non vincolata da capitali stranieri, destinata alla sicurezza sociale.

Il debito pubblico romeno ammonta infatti al 48% del Pil, un numero che si prevede in crescita nei prossimi anni e che potrebbe comportare scelte limitate in maniera di protezione sociale, sacrificandole anzi di fronte alle richieste dei creditori esteri, che nell’ottica di veder ripagato il debito potrebbero vincolare la Romania a diverse politiche di sviluppo macroeconomico ma con pochi risultati pratici nel migliorare il benessere dei cittadini.

by Instagram: jspcastell
RELATED ARTICLES

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

ARTICOLI CORRELATI