domenica, Maggio 19, 2024
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Come si è arrivati alla carneficina di Melilla

di Rocco Orsini

Almeno 18 persone sono morte e 63 sono rimaste ferite a Melilla, controllata dal Marocco, venerdì scorso, 24 giugno. “Una carneficina” l’ha definita Ammar Bellani, inviato speciale del Ministero degli Esteri algerino per il Maghreb e il Sahara occidentale. Bellani ha anche chiesto che gli organismi internazionali e in particolare l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati conducano indagini indipendenti e trasparenti per determinare le responsabilità. Le persone morte, provenienti dall’Africa Occidentale, stavano tentando di oltrepassare le barriere dell’enclave iberica di Melilla. Venerdì oltre duemila migranti, in prevalenza sudanesi, hanno provato a superare le recinzioni che dividono i due territori, scontrandosi con le forze di sicurezza marocchine. Circa 130 migranti sono riusciti a varcare il confine. L’Unione Europea si è limitata a porre l’attenzione sul diritto della Spagna a proteggere i propri confini.

Facciamo un passo indietro e ricostruiamo gli sviluppi geopolitici di questa carneficina, per capire come si è arrivati all’attuale situazione.
Migliaia di persone hanno festeggiato nelle piazze di Ceuta e Melilla, questo 17 aprile, la riapertura delle frontiere tra Spagna e Marocco.
Molti lettori, dopo aver gioito di una notizia finalmente positiva, si chiederanno perché fossero chiuse e perché siano state riaperte, dal momento che questa grave crisi diplomatica è passata del tutto inosservata ma ebbene sì: la Spagna e il Marocco hanno interrotto i rapporti per tre anni e la tanto decantata riapertura pesa come un macigno sulle spalle del popolo saharawi, oppresso da decenni ad opera del governo di re Mohammed VI.
Tutto è cominciato quando Brahim Ghali, leader del Frente Polisario, l’organizzazione che dal 1975 lotta per l’indipendenza del Sahara occidentale dal Marocco, andò in Spagna per le cure mediche dal Covid-19.
Il regno alauita ha allora colto la palla al balzo per chiudere le relazioni con quello iberico. Un pretesto, in quanto la crisi diplomatica tra le due sponde dell’antica Al-Andalus è in corso da molto prima ed è forse il caso di fare un po’ di cronologia degli eventi.

Durante l’estate del 2018 Rabat procede alla chiusura unilaterale della frontiera tra Melilla e il Marocco mentre l’anno seguente, con la scusa di intensificare i controlli contro il contrabbando, ottiene lo stesso risultato con Ceuta. Arriviamo così al 2020, assistendo al tragico spettacolo del riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara occidentale da parte dell’allora presidente statunitense Donald Trump, all’interno della sua dissennata politica mediorientale, con tanto, in regalo, di mappa del Marocco “aggiornata” che comprendeva anche il Sahara occidentale, di cui ricordiamo il regno alauita occupa l’80% con la forza dal 1975, dopo l’abbandono definitivo delle truppe spagnole della ex colonia e la successiva invasione e annessione da parte di Rabat. Allo stesso anno risale anche l’ultima rivendicazione ufficiale del Marocco sulle enclavi spagnole.

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Con tale preparazione e col casus belli di Ghali, si arriva al 17-18 aprile 2021 quando, con la connivenza delle autorità marocchine, entrarono a Ceuta 10.000 migranti in 48 ore; quando l’ambasciatrice del Marocco portò a Rabat le proteste del Ministero degli Esteri spagnolo non fece ritorno a Madrid decretando la fine delle relazioni ufficiali.

Ma torniamo alla festa per la riapertura delle frontiere e poniamoci una seconda domanda: perché sono state riaperte? La risposta purtroppo non è rassicurante: la Spagna ha ceduto a quello che i suoi servizi segreti chiamano “discorso aggressivo del Marocco riguardo il Sahara occidentale” che consiste nell’usare l’immigrazione clandestina come arma di pressione politica e umanitaria. L’obiettivo di questa politica era portare la Spagna ad abbandonare la tradizionale neutralità ed appoggio alla risoluzione ONU nei confronti della causa saharawi, che prevede dal 1991 un referendum per l’autodeterminazione, mai concesso dal Marocco, per appoggiare invece, come infine è successo a marzo di quest’anno, la soluzione marocchina definendola come “la più credibile”: una concessione di autonomia come parte integrante del Regno di Mohammed VI.

Naturalmente il sacrificio di un popolo per il ristabilimento delle relazioni con un vicino prepotente e senza scrupoli ha portato alla riprovazione generale nei confronti del governo Sanchez che ha anche dovuto subire la smentita, purtroppo solo di valore simbolico e non legale, del Parlamento spagnolo che ha dichiarato il cambio di rotta come di “una parte del Governo” e “preso alle spalle del Parlamento”. Lo stesso governo ha dovuto ammettere le intercettazioni subite dal Presidente, il Primo Ministro e quello degli Esteri, attraverso il sistema israeliano Pegaso, da parte del Marocco nei giorni intorno all’entrata di massa a Ceuta. L’ultima umiliazione, ma certamente non per importanza, è quella ricevuta invece questo stesso mese: la riapertura dei rapporti con Rabat è costata la rottura di quelli con Algeri. Infatti un paio di settimane fa l’Algeria, storico difensore del popolo saharawi e rivale del Marocco, ha rescisso il trattato di amicizia con la Spagna giudicando la nuova posizione del regno iberico come “in violazione dei propri obblighi legali, morali e politici”.
Ancora una volta servono le decine di morti degli ultimi giorni a ricordarci che il Mediterraneo arde e che ci sono crisi tanto poco visibili quanto vicine a noi.

by Western Sahara
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