martedì, Maggio 14, 2024
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Tutto quello che non avreste voluto sapere e nemmeno chiedere sulla povertà in Italia

A cura dell’Associazione Marco Mascagna Onlus – Giardini di Marco

Cosa sappiamo dei poveri? Quanti sono? Perché lo sono? Che vita fanno?

La maggioranza delle persone ha idee molto vaghe. Altre hanno idee ben precise, ma spesso del tutto errate.

Quanti sanno, per esempio, che in Italia vi sono 1,4 milioni di bambini e ragazzi in povertà assoluta (cioè che vivono in famiglie che hanno un reddito che non riesce a soddisfare i bisogni essenziali)?

I poveri assoluti sono 5,6 milioni in Italia, le persone senza dimora oltre 55.000 (circa 100.000 secondo alcuni studiosi) [1].

Spesso si pensa che un povero è un disoccupato o uno che vive di lavoretti, invece 4 poveri assoluti su 10 hanno un lavoro stabile e regolare (nel 60% dei casi come dipendente), ma quasi sempre di bassa qualifica e, quindi, con uno stipendio che spesso non raggiunge i 1000 euro netti o che li supera di poco. Se si ha famiglia o un qualsiasi problema familiare (per esempio un genitore disabile o malato o più povero del figlio) non si può non fare la fame [1]. Una parte dei poveri che risulta disoccupata ha un lavoro a nero (in piccole industrie, esercizi commerciali, botteghe artigiane, aziende agricole ecc.) e un’altra parte svolge dei lavoretti con regolari contratti o, più spesso, a nero (consegna pacchi, distribuzione di volantini, lavoro in ristoranti il sabato e la domenica, vendita ambulante, pulizie ecc.), ma, se sono magri i salari dei lavori di basso livello con regolare contratto, quelli a nero lo sono ancora di più e con i lavoretti non si può mantenere una famiglia e nemmeno se stessi.

Altri poveri vivono di elemosina, altri si vergognano di chiederla, altri ancora riescono a vivere solo grazie a qualche organizzazione umanitaria o all’assistenza dello Stato. Ci sono poveri che hanno una casa (spesso in affitto, perché comprarla non è mai stato nelle possibilità proprie, dei propri genitori e avi), quelli che usufruiscono di quella di un parente (spesso un genitore) e quelli che non hanno casa e dormono per strada, in qualche edificio diroccato o in un dormitorio.

La povertà è molto più frequente al Sud Italia che al Nord o al Centro (l’incidenza è 12% al Sud, 6,7% al Nord e 4,2% al Centro), colpisce in uguale misura uomini e donne, più i giovani che gli anziani (il 5% degli ultra 65enni, il 14% degli under 17enni e l’11% dei giovani tra 17 e 34 anni) [1].

Il 43% dei poveri assoluti non ha alcun titolo di studio o al massimo la licenza elementare, il 42% ha conseguito la sola licenza media inferiore [1].

La Caritas ha compiuto un’interessante ricerca sulle persone di nazionalità italiana tra i 36 e i 56 anni, che non sono senza fissa dimora e che hanno usufruito della loro assistenza (distribuzione di pasti, di abiti ecc.) [2]. Si tratta quindi di poveri assoluti, italiani, non in situazione di povertà estrema (come i senza tetto). Il 61% di loro ha (o aveva) un padre con al massimo la licenza elementare (il 7% del tutto analfabeta) e il 24% con la licenza media inferiore. Il 62% ha (o aveva) una madre con al massimo la licenza elementare (il 9% del tutto analfabeta) e il 26% con la licenza media inferiore.

L’80% di questi poveri ha (o aveva) un padre con un’occupazione non qualificata, il 60% viene da una famiglia povera e oltre la metà di questi da una famiglia gravemente povera (che campava grazie a sussidi, elemosine o donazioni) [2].

Appare evidente quindi che è difficilissimo che se si nasce in una famiglia ricca o con genitori di alta istruzione si diventi povero, mentre se si nasce in una famiglia povera o con genitori di bassa istruzione è molto probabile che si rimanga povero ed è difficilissimo diventare ricco. Ma mentre il figlio di un ricco o di un benestante, anche se non prende un diploma superiore o non si laurea, ha molte probabilità di continuare ad essere ricco e benestante nell’altra parte della scala sociale ogni svantaggio diventa causa di ulteriori svantaggi. Infatti, se si ha solo la licenza elementare o media inferiore, si finirà per avere un lavoro non qualificato e quindi si avrà una magro stipendio. Non solo, se si ha una bassa istruzione o si fa un lavoro non qualificato o si ha uno scarso reddito si finisce anche per avere una salute cagionevole e per avere qualche disabilità già in giovane età (l’1% più povero in media ha già una disabilità a 53 anni; l’1% più ricco ne è libero fino a 70 anni [3, 4]). Se la salute è cagionevole si ha più difficoltà a trovare e mantenere un lavoro e si hanno più spese. Se si è di bassa istruzione più facilmente si infrangono regole e si delinque (il 5% dei detenuti è analfabeta, il 18% ha solo la licenza elementare e il 58% ha solo la licenza media inferiore e ciò malgrado la popolazione carceraria sia in maggioranza giovane: il 60% dei detenuti ha tra i 18 e i 50 anni [5]). Se si è avuto a che fare con la giustizia trovare lavoro diventa difficilissimo. Se si sono vissute queste esperienze negative si finisce per avere anche un “brutto carattere”: rapporti burrascosi o freddi con il partner, con parenti, colleghi, datori di lavoro, vicini ecc. E anche ciò è un importante fattore di rischio per la povertà [2].

Varie ricerche hanno evidenziato che si va sempre più diffondendo l’aporofobia, cioè la paura, il fastidio e l’odio nei confronti dei poveri [6]. Non li si sopporta e non li si vorrebbe vedere, ci si convince che se sono poveri è per colpa loro e che bisogna non essere solidali e caritatevoli, ma severi e senza pietà. Ed ecco i provvedimenti che puniscono chi chiede l’elemosina, chi dorme per strada, chi rovista nei rifiuti, ecco le richieste di maggiore severità per i minori che delinquono, ecco l’indignarsi perché si stanziano soldi per assicurare un minimo di reddito a chi è in povertà assoluta mentre si sta zitti, o addirittura si plaude, se si stanzia tanto di più per rifare gratis la casa, anche di villeggiatura, a chi ha la fortuna di averla o si regalano 6.000 euro a chi compra un’auto elettrica.

Come autorevoli economisti hanno dimostrato la povertà deve essere prevenuta e combattuta con una politica fiscale maggiormente progressiva (maggiori tasse a chi è ricco e benestante per avere i fondi necessari per aiutare chi è in difficoltà e per creare posti di lavoro); con un forte impegno nell’istruzione, in particolare nella fascia d’età 1-6 anni (nidi e scuole dell’infanzia dovrebbero essere soprattutto per i figli dei poveri, il contrario di quello che avviene oggi); con un aumento dei salari e degli stipendi minimi e una maggiore tutela dei diritti del lavoratore; con un forte investimento nei servizi sociali di sostegno alle famiglie povere con bambini; con un sistema sanitario pubblico universalistico efficace ed efficiente e attento a contrastare le disuguaglianze (purtroppo spesso oggi le perpetua e le accentua); con un sostegno al reddito che permetta a chi ha avuto una sorte iniqua (e soprattutto ai suoi figli) di avere gli stessi diritti effettivi di chi è stato più fortunato [6].

Spesso si condanna l’assistenzialismo come se fosse un incentivo alla povertà (affermazione mai dimostrata e invece confutata dai fatti come hanno dimostrato varie ricerche [8]). Quello che spesso viene bollato come assistenzialismo è nient’altro che rispetto dei Diritti dell’Uomo (art. 25: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia”) e della nostra Costituzione (art. 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”).

Come ricorda la Caritas a conclusione del rapporto questi provvedimenti avrebbero due ulteriori importantissimi effetti positivi: rafforzare la coesione sociale e favorire la crescita economica.

Note: 1) Istat 2022; 2) Caritas Italiana: L’anello debole: rapporto 2022 su povertà ed l’esclusione sociale in Italia; 3) OMS Ufficio Regionale per l’Europa: Una vita sana e prospera per tutti in Italia. Rapporto sullo stato dell’equità in salute in Italia. 2022; 4) The Equality Trust: Equal opportunities for health; 5) Ministero della Giustizia 2022; 6) CENSIS; 56° rapporto sulla situazione sociale italiana, 2022; Cortina A: Aporofobia, 2017; 7) Per esempio i premi nobel per l’economia Amartya Sen, James J. Heckman, Abhijit Banerjee, Esther Duflo, Michael Kremer; 8) Goldsmith S.: The Alaska Permanent Fund Dividend: a case study in implementazion of a basic income guarantee, 2010; Franzini M, Granaglia E, Raitano M: Le critiche al reddito di cittadinanza: proviamo a fare chiarezza; Menabò di Etica e Economia, 2020.

Foto di Towfiqu barbhuiya su Unsplash

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