venerdì, Maggio 17, 2024
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Hasib Omerovic, un caso già dimenticato dai media, la colpa di essere Rom

di Germano Monti

A distanza di più di due mesi dalla “caduta” di Hasib Omerovic dalla finestra della sua stanza, non esiste ancora una verità accertata su cosa sia veramente successo quel 25 luglio nell’appartamento di Primavalle. Sabato 15 ottobre, in Piazza del Campidoglio, si è svolta una fiaccolata “per fare luce sulla verità”, promossa dall’associazione “21 luglio” con il sostegno di Amnesty International e di altre associazioni. La sola forza politica presente era “+ Europa”, di cui fa parte il deputato Riccardo Magi, che ha presentato due interrogazioni parlamentari sulla vicenda, rimaste tuttora senza risposta da parte del Ministro degli Interni Lamorgese. Proprio il silenzio delle istituzioni, dal governo al sindaco Gualtieri, è stato oggetto di forti critiche da parte di molti degli intervenuti.
Allo stato attuale, i fatti noti sono questi: il 25 luglio, una squadra di agenti del Commissariato di Primavalle, formata da quattro poliziotti, si presenta a casa della famiglia Omerovic, rom provenienti dalla Bosnia. In casa ci sono solo il trentaseienne Hasib – sordomuto dalla nascita – e sua sorella Sonita, anche lei disabile. Gli agenti non hanno alcun mandato, ma entrano ugualmente nell’appartamento e, dopo un certo lasso di tempo, Hasib precipita dalla finestra della sua stanza. Un volo di nove metri. Viene chiamata un’ambulanza e Hasib viene portato al Policlinico “Agostino Gemelli”, dove viene ricoverato in terapia intensiva, in stato di coma.
Le versioni sull’accaduto divergono. Gli agenti affermano che Hasib si sarebbe chiuso nella sua stanza e si sarebbe gettato dalla finestra, per essere poi soccorso dagli stessi agenti, che hanno chiamato l’ambulanza. La sorella di Hasib, invece, sostiene che gli agenti abbiano picchiato l’uomo, per poi gettarlo dalla finestra. La vicenda passa stranamente sotto silenzio, sui giornali dell’epoca non c’è traccia nemmeno di un trafiletto sull’accaduto, così come, nei giorni successivi, non viene data notizia della denuncia presentata dai famigliari di Hasib alla Procura della Repubblica. L’opinione pubblica viene a conoscenza dell’episodio soltanto a metà settembre, quando il parlamentare di “+ Europa” Riccardo Magi presenta la prima interrogazione e si tiene una conferenza stampa in cui, oltre allo stesso Magi, intervengono i famigliari di Hasib, il presidente dell’associazione “21 luglio”, Carlo Stasolla, e gli avvocati Arturo Salerni e Susanna Zorzi. La Procura apre un fascicolo contro ignoti, ipotizzando il reato di tentato omicidio, e due dirigenti del commissariato di Primavalle vengono trasferiti. Hasib è sempre in coma all’ospedale “Gemelli”.
I punti oscuri (e inquietanti) della vicenda sono molti. Perché quattro agenti (otto, secondo alcune testimonianze) si presentano, senza alcun mandato, in casa di un cittadino disabile e incensurato? Perché nell’appartamento sono presenti segni di violenza – quali la porta della stanza di Hasib sfondata, un termosifone semi divelto dal muro, tracce di sangue sulle lenzuola del letto di Hasib e un manico di scopa spezzato – che avvalorano la testimonianza di Sonita? Perché, alle prime richieste dei genitori di Hasib, dal commissariato di Primavalle rispondono che non c’è nulla di grave e Hasib si è solo rotto un braccio cadendo dalla finestra? Come è possibile che una vicenda come questa sia stata completamente silenziata da tutti gli organi di informazione, sia nazionali che locali? Le voci si rincorrono, si dice che Hasib avesse molestato alcune ragazze del quartiere, come veniva scritto anche su una pagina Facebook, sembra che una delle ragazze fosse la nipote di uno dei poliziotti recatisi nella casa di Hasib, ma manca qualunque riscontro, senza contare il fatto che numerose interviste realizzate dopo che il caso era diventato di dominio pubblico smentiscono categoricamente che Hasib fosse un molestatore, descrivendolo, anzi, come una persona gentile e disponibile, nonostante le sue difficoltà di comunicazione.
L’inquietudine cresce ancora quando, a fine settembre, in una nuova conferenza stampa convocata da Riccardo Magli, gli avvocati Salerni e Zorzi denunciano un fatto molto grave: i vestiti e le scarpe restituiti ai famigliari dall’ospedale non sono quelli che Hasib indossava il giorno della “caduta”, non sono suoi. Le foto scattate quando Hasib era riverso sul terreno dopo la “caduta”, in attesa dell’ambulanza, parlano chiaro, quindi si pone, ineludibile, la domanda: che fine hanno fatto i vestiti e le scarpe di Hasib Omerovic? E ancora: perché sono stati fatti sparire? Nella piazza di sabato scorso, circolava un’ipotesi: quei vestiti sono stati fatti sparire perché segnati dal DNA degli agenti, il che dimostrerebbe che, come ha dichiarato la sorella di Hasib, all’uomo sono state messe le mani addosso. E’ solo un’ipotesi, non suffragata da alcun riscontro, ma la domanda resta, e meriterebbe una risposta, anche perché apre uno scenario ancora più fosco: i vestiti che indossava Hasib al momento del ricovero sono stati presi in consegna dai dipendenti del “Gemelli”, i quali, poi, hanno restituito ai famigliari altri vestiti. Perché lo hanno fatto? Difficile pensare ad un errore, impossibile non chiedersi se vi sia una qualche collusione fra quei dipendenti e gli agenti coinvolti. Anche su questo, non possiamo che aspettare i risultati dell’inchiesta condotta dalla Procura, cui lo stesso Hasib potrebbe dare un contributo, essendo uscito – dopo dieci operazioni – dal coma.
Sembrerebbe proprio che all’interno di un commissariato della capitale della Repubblica Italiana operasse un gruppo di agenti che si comportava come quelli della “polizia morale” della Repubblica Islamica iraniana. A differenza di quanto accaduto in Iran, dove gli abusi della “polizia morale” hanno scatenato una sollevazione di massa, in Italia la vicenda di Hasib Omerovic non ha provocato alcuna ondata di indignazione e nessun esponente politico – con la sola eccezione di Riccardo Magi di + Europa – ha avvertito il bisogno di far sentire la propria voce. Forse, perché Hasib Omerovic è uno “zingaro” e difendere i diritti di uno “zingaro” non porta consensi. A tutti costoro vale la pena di rinfrescare la memoria con le parole del sermone del pastore Martin Niemoller che, dopo un’iniziale simpatia per il nazionalsocialismo, ne divenne oppositore, cosa che, dopo essere arrestato dalla Gestapo su diretto ordine di Hitler, gli costò otto anni di campo di concentramento: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici, io non dissi nulla, perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla, perché non ero sindacalista. Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.

Germano Monti

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